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sabato, 31 gennaio 2015 21:42 |
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Rosario Pesce
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Fatto il brindisi per l’elezione al Quirinale di una persona perbene, ora è necessario fare una riflessione sulle dinamiche, che l’hanno determinata, visto che l’esito è stato imprevisto, finanche nei numeri, che hanno premiato Mattarella al di là di qualsiasi auspicabile previsione.
Infatti, egli è stato eletto, con il consenso, circa, dei due terzi dei grandi elettori, i quali hanno inteso premiare il nuovo Capo di Stato, seguendo l’indicazione impartita da Renzi.
Innanzitutto, è evidente che l’intero PD si sia compattato intorno al nome del nuovo Presidente, che proviene dalla cultura della Sinistra democristiana, per cui è vicino alle posizioni della minoranza di quel partito, che ha un pedigree o ex-comunista o ex-moroteo.
Ma, i voti sono stati copiosi e molti ambienti del Centro-Destra hanno votato per l’esponente siciliano, a partire da Alfano e Casini, che, assecondando Renzi, hanno non solo consolidato la posizione di Area Popolare all’interno del Governo, ma hanno di fatto inaugurato una nuova stagione del Centro-Destra.
A fronte, infatti, della liquefazione di Forza Italia, molti sono i parlamentari di Berlusconi, che non hanno obbedito all’ordine di scuderia del Cavaliere ed hanno votato per Mattarella, riconoscendosi nelle posizioni di NCD e UDC, visto che - in politica - è fondamentale, se non vitale, tenere in piedi il rapporto con l’Esecutivo, per cui non votare per il candidato renziano avrebbe significato, inevitabilmente, perdere ogni speranza di credibilità con il proprio elettorato, che ha bisogno, invece, di certezze in termini di prossimità al potere costituito.
D’altronde, la riforma della legge introduce una novità essenziale: se durante tutta la Seconda Repubblica, si è cercato il migliore meccanismo per favorire la nascita delle coalizioni, già prima del voto, con l’Italicum si torna alla tradizione della Prima Repubblica, visto che il premio di maggioranza viene attribuito alla lista e non più al rassemblement di formazioni, che si alleano.
Pertanto, al netto del premio di maggioranza e della soglia di sbarramento, utilissimo contro la proliferazione dei piccoli partiti, torna in auge un meccanismo di tipo proporzionale, che ha segnato la storia italiana per molti decenni.
Un simile fatto si accompagna, oggi, all’elezione di un autorevolissimo esponente della Prima Repubblica, dato che il renzismo dominante, per un verso, determina un salto in avanti della vicenda istituzionale, che si materializza intorno alla leadership forte del Capo carismatico, ma – per altro verso – non rifugge da un ritorno al passato, quando erano i partiti e non le coalizioni dell'ultimo ventennio, costruite più o meno sul fango, i protagonisti dell’agone politico.
In tal senso, l’elezione di una personalità, che ha raggiunto i vertici della propria carriera negli anni della Prima Repubblica, è denotativa di un fatto forte: tutte le personalità della Seconda Repubblica, di Destra come di Sinistra, con il voto odierno scompaiono, definitivamente, dalla scena istituzionale. Gli uomini della Sinistra – da D’Alema a Bersani, da Veltroni a Prodi – sono costretti, per raggiunti limiti anagrafici, a dire addio al Quirinale, mentre quelli della Destra – Berlusconi, in primis – subiscono la forza mediatica ed il rampantismo di Renzi, che ha vinto la battaglia sul medesimo campo dei suoi avversari: il cinismo ed il decisionismo.
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L’immagine di Casini ed Alfano, che si abbracciano e festeggiano dopo l’ufficializzazione del dato elettorale di stamane, ben rappresenta la storia politica di un Paese, nel quale la tradizione cattolico-democratica ha fatto la parte da leone, per cui due ex-democristiani, pur non avendo mai appartenuto alla medesima corrente del neo-Presidente, quando militavano nella DC, hanno legittimamente avvertito il bisogno di esprimere il loro grado di soddisfazione, nel momento in cui si è consumato un evento di un’importanza di portata straordinaria.
Rinasce, forse, la Balena Bianca?
Non crediamo ai ritorni al passato, anche perché - ai tempi della Democrazia Cristiana - non esisteva una personalità, come il Premier attuale, in grado di attirare un consenso ampio e di essere il seduttore di masse popolari considerevoli.
Eppure, molti segnali vanno nel medesimo verso: dal ripristino di un sistema di voto di tipo proporzionale alla rinascita del personale politico di provenienza democristiana, tutto ciò dice che, dopo la sbornia berlusconiana, durata un ventennio, l’Italia sta tornando alle sue origini, quando gli uomini miti – come, appunto, Mattarella – facevano la storia del Paese, grazie all'intensità dei loro ragionamenti ed alla credibilità personale.
La vera sconfitta, però, è la Sinistra ex-comunista: ai vertici del partito, del Governo e dello Stato non c’è più una personalità – dicasi una – che sia in grado di fronteggiare il protagonismo renziano, per cui il ceto dirigente del PD è quello che si sta formando intorno al Presidente del Consiglio ed i vecchi notabili di estrazione PCI, PDS e DS sono destinati, con la conclusione della legislatura presente, a scomparire del tutto dalla politica nazionale, senza peraltro lasciare alle loro spalle un nuovo ceto, che possa contendere a Renzi il controllo del Partito Democratico o che, almeno, sia in grado di infastidirlo.
L’alternativa autentica a Renzi è costituita dal gruppo dirigente del PD, nato nella gloriosa Democrazia Cristiana, che, nell’ottica della limitazione del potere – altrimenti – strabordante del Premier, è riuscito ad imporre l’indicazione del nuovo inquilino del Quirinale, dotato di un profilo autorevolissimo e, soprattutto, autonomo dal Capo del Governo.
Moriremo, forse, tutti democristiani?
Forse sì, dato che le altre culture politiche del nostro Paese – da quella comunista a quella socialista, da quella liberale e democratica a quella repubblicana ed azionista – sono, ormai, solo ricordi sbiaditi del secolo scorso, mentre in piedi è rimasta la forma mentis democristiana, la stessa che ha spinto Casini ed Alfano a festeggiare in modo plateale, nonostante essi non fossero stati né gli artefici, né i supporters decisivi dell’elezione di Mattarella.
Forse, Renzi ha qualcosa da temere da un simile rigurgito, tipico della Prima Repubblica?
Vedremo: invero, al momento, non possiamo che festeggiare, anche noi, per l’altissimo prestigio personale del Presidente, appena eletto, che saprà restituire all’Italia il giusto ruolo internazionale, che essa merita - per la sua storia - a livello sia politico, che economico.
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