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Rosario Pesce
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È evidente che la politica, nel nostro Paese come in tutta Europa, deve rinascere, se intende sopravvivere.
Ormai, da decenni essa è caduta in disgrazia, visto che il crollo degli Stati nazionali e l’incipiente globalizzazione hanno delegittimato la casta.
Il potere economico prevale sempre più su quello politico-istituzionale, a tal punto che, molto spesso, i capitani di azienda vengono selezionati per assumere ruoli di prestigio pubblico.
E la politica, dalla caduta del Muro di Berlino in poi, ha assistito impotente al proprio funerale, consentendo che i movimenti populistici e demagogici ne sanzionassero la definitiva morte.
È, anche, vero che sovente la classe politica si è contraddistinta non solo per la scadente moralità pubblica, ma per una manifesta incompetenza, che l’ha danneggiata forse molto di più degli scandali giudiziari, che pure hanno determinato il crollo di interi ceti dirigenti.
Di fronte ad una dinamica simile, si sono ricercate molte vie di fuga, che però non hanno migliorato affatto la situazione.
Si è cercato di riformare la Costituzione, pensando che la norma fosse la principale responsabile del fallimento della casta, senza però rendersi conto che, per tal via, si confondeva lo strumento con il fine.
Poi, si è indotto dall’alto un rinnovamento generazionale, che però ha acuito i difetti della politica, dal momento che, molto spesso, i figli si sono dimostrati peggiori dei loro padri, naturali e politici, ripetendo lo stereotipo di Riccardino, cioè del figlio imbelle che fece fallire la Rivoluzione Inglese, voluta e perpetrata dal padre Oliviero Cromwell.
Infine, si è tentato di trasferire altrove il potere politico-istituzionale, dando agli Enti Locali le competenze che, un tempo, erano dello Stato centrale.
Per tal via, il morto è stato, finanche, sepolto dal momento che, con il trasferimento dei poteri sui territori, si sono stimolati gli appetiti di protagonisti della politica cinici, a volte disonesti, ma soprattutto privi assolutamente di dignità e di rispetto delle istituzioni, che invece era stato soverchiante nel Novecento, quando gli esponenti politici erano cresciuti, tutti, con una considerazione laicamente religiosa della loro funzione sociale ed istituzionale.
Così, molto spesso si sono creati degli autentici “mostri”, di cui si pagherà il fio per molte generazioni, visto che questi, in assenza dei dovuti controlli, hanno realizzato delle politiche di crescita del debito pubblico, che hanno destabilizzato i conti ed hanno creato l’impossibilità di procedere a qualsiasi serio investimento statuale, volto alla crescita dell’economia e del consesso sociale.
Per tal via, a breve, qualcuno nel nostro Paese potrà invocare il commissariamento della politica e di tutti i partiti, ridotti a comitati elettorali dell’uno o dell’altro.
Ma, chi è democratico autentico non può, invero, essere felice per un siffatto esito e non gli rimane che sperare che l’Araba Fenice possa risorgere dalle sue ceneri, per garantire, almeno, quelle conquiste di democrazia e di civiltà, che l’Ottocento ed il Novecento ci hanno regalato.
Forse, è già troppo tardi?
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