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Rosario Pesce
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È evidente che le prossime primarie del 30 aprile nascondono un possibile tranello per Renzi.
L’elezione del Segretario avviene con un sistema a doppio turno, nel caso in cui nessuno dei candidati, al momento del voto popolare, dovesse raggiungere il 50% dei consensi.
In quel caso, i due candidati, che hanno preso il maggior numero di voti (probabilmente, lo stesso Renzi ed Orlando), devono contendersi la Segreteria Nazionale del PD con il voto fra i delegati, che, eletti su base proporzionale in occasione del voto popolare, possono poi decidere in modo autonomo come ricollocarsi nel secondo turno, trasformando un’elezione diretta, di fatto, in un vero e proprio Congresso.
Pertanto, Renzi ha l’esigenza non solo di vincere in occasione del voto del 30 aprile, ma soprattutto deve superare la fatidica soglia della maggioranza assoluta, per essere al sicuro da eventuali tranelli e trappole, che potrebbero scattare il giorno successivo all’eventuale vittoria risicata.
Ce la farà?
È la domanda che si pongono tutti, visto che, in questo momento, il consenso popolare di Renzi non è, invero, quello di un paio di anni fa, quando le primarie sarebbero state per lui un’amena passeggiata verso la nuova legittimazione.
Oggi, non è così, tanto più perché, fra i suoi delegati, non solo saranno presenti i renziani di sicura fede, ma ci saranno molti rappresentanti della corrente di Franceschini, che renziani in senso stretto non lo sono, se non per un mero accordo interno fra le correnti, stipulato tre anni fa e rinnovato prima del voto del prossimo 30 aprile.
Certo è che la campagna elettorale non è entrata, ancora, nel vivo, ma nel mese di aprile ne vedremo delle belle, visto che la partita in gioco è di fondamentale importanza.
Dirigere il PD significa essere, comunque, al centro del sistema politico italiano e, quindi, delle istituzioni, dal momento che, nonostante i sondaggi contrari, è presumibile che possa continuare ad essere il primo partito del Paese, finanche in occasione delle prossime elezioni politiche.
Inoltre, su queste primarie incombe il punto interrogativo dei fuoriusciti al seguito di Bersani e di D’Alema.
È ovvio che, trattandosi di primarie aperte anche ai non iscritti, essi comunque parteciperanno al voto, chiedendo il consenso per il candidato più vicino alle loro idee, il Ministro Orlando, che, in caso di vittoria, sarebbe promotore di un’operazione politica volta al loro recupero e, quindi, al reingresso dei transfughi nel Partito, che molti di loro hanno contribuito a fondare.
Come finirà la contesa?
È ineluttabile che, anche, la cronaca giudiziaria delle ultime settimane possa spostare qualche voto da una parte piuttosto che da un’altra, ma quella che conta è la forza delle proposte e quella renziana si costruisce troppo poco sui contenuti ed eccessivamente sul carisma di un leader, evidentemente, destinato ad una parabola discendente.
Ed, allora, chi fra Orlando ed Emiliano potrà essere l’autorevole alternativa al renzismo opacizzato?
Forse, il Ministro di Grazia e Giustizia?
Forse, il giudice e governatore pugliese?
Certo è che, da molti decenni a questa parte, la politica è fin troppo intrecciata con le vicende della Giustizia e ciò rappresenta una patologia per una democrazia che ambisca ad essere “normale”, per usare un aggettivo molto caro a D’Alema.
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