|
|
Mafalda Bruno
|
|
Capita spesso che a volte leggi un trafiletto, poche righe su un luogo o una situazione, un fatto qualsiasi, che la maestrìa con la quale sono scritte quelle poche parole, fanno sì che ti ci trovi catapultata dentro, quasi da protagonista. Scrivere è certamente un’arte, ma alla fin fine se non riesci a trasmettere le emozioni con cui butti giù un pezzo, a far percepire a chi ti legge le tue stesse, identiche sensazioni provate mentre scrivevi, lo scrivere rimane fine a sé stesso. Te lo rileggi, magari te ne compiaci, ma rimane lì… a tuo unico uso e consumo. E non è una bella sensazione alla lunga. Una noia mortale, diciamolo pure.
Ecco, mi è capitato di avere un sussulto di emozione con il libro di Roberta Scorranese: Portami dove sei nata (editore Bompiani Overlook). Sfogliavo il mio settimanale di fiducia, C7 Corsera, e mi sono saltate all’occhio subito alcune parole del tipo ammidia, Sangabriè, pummadorata per capire che quelle righe mi riguardavano, eccome, perché si trattava della zona in cui sono nata e cresciuta, di termini dialettali che hanno accompagnato la mia fanciullezza e adolescenza. Tornata a casa ho letto tutto l’articolo facendo poi partecipe, con entusiasmo, la famiglia di questa perla scoperta, dove per perla intendo proprio perla. Capirai: coniuge salernitano, figlio di origini brasiliane, non è che il mio entusiasmo sia stato poi tanto condiviso se non con laconici “uhmmm, si…bello…”
Il giorno della Festa della Mamma, a sorpresa arriva un pacco per me: libri su libri arrivano al capo famiglia, al figlio qualche componente del computer…. Insomma: curiosa come una biscia, apro e trovo il libro di Roberta. La famiglia aveva registrato il mio entusiasmo e lo avevano tenuto in serbo per una festa. Bene, bravi, bis.
Ho già detto grazie a Roberta sui social, il suo libro spesso mi diverte, così come spesso mi fa pensare, ma una cosa è certa: in ogni riga mi pare di essere lì, in quel paesino che nonostante sia poco distante dal mio non ho mai visitato, sentito nominare certo, ma solo questo. Sono a mio agio lì sia nel 1942 (anche se sono nata 8 anni dopo) sia negli anni successivi. Sento vive le voci di Chiarina, Menichetta, tatà Pasquale, Don Bernardo (il mio si chiamava Don Eusanio, pace all’anima di entrambi) lu Marescià ecc. ecc.
Il passaggio che riguarda San Gabriele e i richiedenti i miracoli è incantevole, oltremodo suggestivo ma anche realistico: auà Sangabriè, io ti accendo il cero, faccio il fioretto, ma tu mi fai questa o quella grazia: se qualcosa va storto, si verifica una mancanza verso un patto stipulato tra un Santo e consumati contadini: quindi gente seria che non ha tempo da perdere e non sta lì a cinsichiare su cose inutili: e se Sangapriel Nusctr latita… i contadini se la legano al dito e glielo rinfacciano, oh se glielo rinfacciano, sempre con rispetto parlando però.
Ora, io capisco che questo libro è principalmente ad uso e consumo di noi teramani e dintorni… ma sarà gradevole lettura anche per chi ama scoprire usi e costumi di questa nostra bella Regione, ricca e profumata…. di cosa? Di tutto.
|
|