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Sporco lavoro (a volte) quello del giornalista ma qualcuno deve pur farlo…

mercoledì, 15 novembre 2017 07:48

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Mafalda Bruno
Uno ci prova a stare zitto. Quando il clamore suscitato dall’aggressione al giornalista e al cameraman di Nemo è di dimensioni tali da coprire l’intero mondo dei mass media, cos’altro si può o si deve aggiungere? Poco e niente.
Poi però, pensa che ti ripensa, qualcosa ti brulica nel cervello: ripassi mentalmente, più e più volte, quel video della testata (o per meglio dire della capocciata, per restare nello slang locale) e allora non puoi tacere. Vuoi per “amor di patria” vuoi per difesa non solo della categoria, ma del principio costituzionale secondo cui (art. 21): “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”
Premesso ciò, quel video è stato mostrato urbi et orbi. E penso di non essere stata la sola a non notare come Spada, pochi attimi prima del misfatto, mostrava fastidio, imbarazzo, disagio d’accordo, ma niente che facesse prevedere quella subitanea, violenta reazione. Se avesse manifestato altre reazioni, per esempio allontanandosi scocciato o arrabbiato, al giornalista restava ben poco da fare. Invece è rimasto lì, quasi sornione, non riusciva ad andarsene, pur non gradendo le domande che gli venivano rivolte. Curioso no?
Ovvio che un giornalista allora insiste. Se ci si arrendesse subito, davanti ad un diniego per un’intervista, tanto varrebbe fare un altro mestiere. Quante volte ci si sente dire: “guardi ora non posso” oppure: “quanto tempo mi rubano le sue domande? ” oppure ancora: “guardi forse è meglio se facciamo un’altra volta, si metta d’accordo con la mia segreteria”. (Tradotto: dolcezza, scordati l’intervista).
E lì, in quell’attimo, sta all’abilità professionale del giornalista, alla sua prontezza, alla sua versatilità, alla sua reazione dialettica far si che l’intervista decolli nonostante l’iniziale diniego. E quasi sempre, se il dialogo è ironico e gradevole, garantito che l’intervista salta fuori.
E come si dice in gergo “si porta il sorcio a casa”.
Quindi Daniele Piervincenzi non ha fatto altro che seguire le regole del buon (ottimo) giornalismo. Se chi devo intervistare mi resta davanti, mi guarda, tergiversa ma non se ne va, anche se è infastidito DEVO per forza insistere a fare domande. Diversamente, se gira i tacchi e si dilegua, amen, non è andata. Capita.
E niente sorcio.
Ostia ha reagito già vigorosamente all’episodio con una manifestazione cittadina a cui ne seguirà un’altra giovedì 16 novembre, alle ore 17, organizzata da Fnsi (Federazione della Stampa) e Libera, contro quello che è considerato "non solo un atto violento contro i cronisti, ma anche un’aggressione all’articolo 21 della Costituzione e al diritto dei cittadini ad essere informati". L'invito è rivolto a cittadini, associazioni e istituzioni che hanno a cuore i temi della legalità e della libertà di stampa.
Lascio, molto volentieri, la chiusura di questa riflessione al mio amico e collega di lunga data, Roberto Filibeck: Ho 50 anni, vivo dall'età di 3 anni ad Ostia, la "mafiosa" Ostia. Scrivo, e forse come me in tanti, non da giornalista, professione che svolgo da quasi 30 anni, ma da cittadino indignato per quanto accaduto al giornalista Daniele Piervincenzi e al cameraman Edoardo Anselmi.
Ho scritto questa sorta di poesia-lettera aperta alla famiglia Spada, e la dedico ai due colleghi aggrediti. " Non siamo Spada, né del clan dei Fasciani, ma una semplice comunità di onesti cittadini italiani. Non desideriamo guerre, né droga o violenza. Vogliamo solo la pace, la consideriamo la nostra stessa essenza. Picchiate, spacciate, minacciate. Ma non riuscirete ad intimorirci con le vostre testate.
Amiamo il mare, il sole e quell'inebriante profumo di brezza marina. Per questo vi diciamo con forza che non indietreggeremo di un centimetro finché non sarà fatta giustizia. Affinché Ostia possa tornare a risplendere come una volta, quando era una serena e incorrotta cittadina."
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