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La lezione di D’Alema

mercoledi, 21 gennaio 2015 09:21

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Rosario Pesce
Ieri sera, è andato in scena un interessantissimo dibattito fra Massimo D’Alema e Marine Le Pen, figlia del leader nazionalista francese e, dunque, erede della tradizione neo-fascista transalpina.
Oggetto del contendere: l’Europa.
È ben noto che i movimenti populistici, come la Lega di Salvini ed il partito della Le Pen, trovano agio nell’evidenziare i limiti delle politiche europee, per mietere consenso a go-go, ma è altrettanto vero che tali formazioni, fortunatamente non ascese ancora al potere nei rispettivi Paesi, non garantiscono alcuna prospettiva di governabilità, se non la mera riproduzione di uno stantìo schema anti-euro, che, peraltro, non offrirebbe garanzie in termini di soluzione della crisi economico-finanziaria, che affonda la sua ragion d’essere in un crogiuolo di motivazioni, delle quali la moneta unica è solo quella che appare in modo più vistoso all’elettore comune, attratto dai messaggi populistici dell’Estrema Destra.
Orbene, nel corso del dibattito, andato in onda sugli schermi televisivi, si è rimarcato, nella sua straordinaria portata culturale, l’abisso che esiste fra i politici della precedente generazione, qual è appunto D’Alema, e quelli della nuova, che, in nome di un sentimento iconoclasta, aspirano meramente a distruggere l’esistente, senza offrire un’alternativa credibile e percorribile.
Contro la moneta unica e le politiche dell’UE si possono muovere tutte le obiezioni, che si vuole, ma un dato, evidenziato dall’ex-Presidente del Consiglio italiano, è certo: da quando è nata l’Europa della moneta unica, le guerre nel vecchio continente sono scomparse, per cui gli sforzi degli statisti, che sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, hanno lavorato in tal senso, sono stati coronati dal successo derivante dal fatto che liberamente, oggi, un cittadino - inglese o francese - può andare in Germania, senza temere di essere vittima del nazionalismo, alimentato da questa o quella fazione partitica.
Il Novecento è stato - per definizione - il "secolo breve", costellato di tre guerre mondiali, delle quali due sono state combattute lungo il confine fra Francia e Germania e la terza, quella fredda, invece è andata in scena nei Paesi, che erano delimitati - ad est o ad ovest - dalla famigerata cortina di ferro.
La pace non ha prezzo ed, invero, finanche l’attuale momento economico, pur infelice, è invero ben lungi dalle disgrazie e dalle miserie, causate dagli anni di guerra che, nel secolo scorso, hanno segnato ineluttabilmente il vecchio continente, costringendo popolazioni intere a vivere ai margini del progresso economico e civile e, soprattutto, in una condizione di continua precarietà e rischio per la propria vita.
La Le Pen, erede della tradizione nazionalista, che ha messo a ferro e fuoco l’Europa nel XX secolo, è probabilmente nostalgica di quel periodo, per cui i messaggi di odio, che diffonde contro gli organismi dell’Unione ed, in particolare, contro la Germania - lo Stato più forte e rappresentativo dell’Unione - non aiutano a superare la crisi, visto che la leader francese, seguita da Salvini e da molti altri protagonisti della vita politica del nostro continente, con la sua propaganda genera elementi ulteriori di disagio e di difficoltà.
In verità, la diffusione di concetti nazionalistici non migliora affatto la serenità e la tranquillità di popoli, che meritano solo di vivere - con il minor numero possibile di ansie - le difficoltà oggettive del presente momento storico.
Invece, seminare odio ed alimentare rigurgiti di vecchi nazionalismi contribuisce a creare un clima sociale, che non può aiutare la ripresa economica, perché evidentemente, come spiegava bene D’Alema, la pace costituisce la premessa indispensabile per lo sviluppo e la crescita, dato che la conflittualità può aiutare solo chi ha forti interessi economici nel far scoppiare, qua e là, guerre ormai destinate ad essere combattute con armi e strumentazioni ben diverse da quelle convenzionali del XX secolo.
Peraltro, una riflessione ulteriore va fatta: a causa di un dato, meramente generazionale, in molti Paesi europei – complice la crisi – moltissimi partiti hanno dato vita ad un rimpasto, più o meno significativo, delle loro classi dirigenti, per cui, in virtù dell’esigenza – pur legittima – di rinnovare profondamente il personale politico, molto spesso si è proceduto ad una rottamazione, che ha colpito indistintamente taluni protagonisti della recente storia istituzionale, finanche chi – come lo stesso D’Alema – sarebbe stato in grado di offrire, tuttora, il contributo delle proprie idee e delle conoscenze possedute.
Come si dice in gergo, si è gettato il bambino con l’acqua sporca: il nuovo ceto dirigente europeo, quello appunto della Le Pen, di Salvini, ma anche di alcuni esponenti di Centro-Sinistra, forse non presenta la medesima lucidità dei predecessori, per cui il rischio che ci sia un imbarbarimento nel dibattito dei prossimi anni non solo appare concreto, ma è altamente possibile.
Dovremmo, quindi, rimpiangere delle personalità, che hanno offerto le loro migliori energie, per evitare che l’Europa potesse fare la medesima fine, subìta negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso?
Forse, per ringiovanire le istituzioni, si sta progressivamente favorendo l’ascesa di cinici democratici e pericolosi neo-fascisti, che non hanno altro scopo che la mera acquisizione del potere, speculando sullo stato di bisogno delle persone?
Forse, in risposta alla crisi di milioni di Europei, privi di lavoro e di una prospettiva di vita importante, si stanno ponendo le premesse per tornare ad un ordine mondiale, che prevede sistematicamente la guerra, anche, nel vecchio continente?
Forse, si stava meglio, quando si stava peggio, semplicemente perché la precedente classe dirigente, italiana ed europea, era assai migliore di questa che, ora, sta per muovere i suoi primi incerti passi sul proscenio sia nazionale, che continentale?
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