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Rosario Pesce
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Negli ultimi anni, la parola d’ordine della società italiana, oltreché della politica, è stata quella che, meglio di altre, indica un’ansia insita nell’uomo: il rinnovamento.
Si sa bene come tutti gli organismi, se non si rinnovano, sono destinati a perire, per cui la tendenza al cambiamento diventa un’opzione non solo virtuosa, ma strettamente necessaria alla continuazione della vita, sia pure sotto forme sempre differenti e cangianti.
Si sa come ad una generazione deve succedere un’altra; ad una moda una diversa e così via, in una logica che la filosofia e la morale hanno sempre indagato.
Di per sé, però, la parola rinnovamento non implica un giudizio di tipo qualitativo: gli organismi devono cambiare per legge di natura, ma non è detto che il rinnovamento produca un miglioramento rispetto al punto di partenza.
Un simile concetto trova la sua attuazione più valida e significativa nel campo della politica, invero non solo italiana, ma anche europea.
Il rinnovamento delle classi dirigenti europee, nel corso degli ultimi venti anni, ha portato all’affermazione di gruppi di potere, che non si sono sempre dimostrati all’altezza del loro compito.
Alla fine degli anni Ottanta, i vari Kohl, Mitterand, Craxi hanno costruito il primo, embrionale processo di unificazione europea, che ad un certo punto i banchieri – in modo particolare, quelli tedeschi – hanno trasformato profondamente, per cui le buone intenzioni originarie degli statisti, che abbiamo citato, sono andate smarrite.
Non è un caso se, oggi, il concetto di Europa unita genera moltissime antipatie, per cui non esiste Paese del vecchio continente dove non ci sia un movimento di pubblica opinione, che non aspiri a fare uscire la propria nazione da un’esperienza, che viene ritenuta oltremodo penalizzante per il futuro delle prossime generazioni, costrette a pagare i debiti di quelle precedenti in assenza di lavoro e di un orizzonte di crescita rilevante e sicura.
Pertanto, il rinnovamento ha portato frutti non positivi: il primato della politica ha lasciato il posto a quello della finanza e le grandi masse sono, sostanzialmente, fuori da processi economici, che tenderanno ad emarginarle sempre più.
I giovani troveranno lavoro sempre più difficilmente e, soprattutto, tale lavoro sarà sempre meno certo e gratificante.
In tale prospettiva, il rinnovamento ha segnato un momento di arresto della crescita, che si era realizzata nei decenni dopo il Secondo Conflitto Mondiale.
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