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Da sinistra: Rosario Pesce, D.S. dell'I.C. di Siano e Giorgio Marchese, sindaco di Siano
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Rosario Pesce
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Le manifestazioni religiose, che si svolgono nel Sud del nostro Paese nel periodo estivo, sono per lo più tutte simili.
Ce n’è una, invero, che è molto più ricca di tutte le altre, almeno fra quelle che si sviluppano nella provincia salernitana.
Parliamo della festa di San Rocco, che si celebra nei giorni ferragostani a Siano, un paese a ridosso della Valle dell’Irno e dell’Agro Nocerino.
Si tratta di un evento, che coinvolge un’intera cittadinanza (oltre diecimila abitanti), a cui si aggiungono le persone, che nate a Siano - o figli di emigranti - si sono poi trasferite oltre oceano, per cui la manifestazione religiosa si trasforma in un’utile occasione perché si rincontrino parenti ed amici, che molte cose, certo, hanno da raccontarsi.
Lo sfarzo è notevole: in occasione della processione, numerose sono le statue che vengono portate in giro, per ogni vicolo del paese, quasi a voler introdurre i santi nelle abitazioni di persone anziane o inferme, che non possono più andare in Chiesa.
Mai come in tal caso, la contaminazione del programma religioso con quello civile è felice e foriera di attività per la popolazione locale: infatti, gli abitanti dei Comuni limitrofi si riversano, numerosissimi, a Siano per partecipare alla processione o per assistere allo spettacolo dei fuochi pirotecnici, che si svolge quasi per un intero giorno, impegnando molte aziende specializzate in tale settore.
L’evento religioso diventa, inoltre, momento utile perché tutti i Sianesi si riconoscano nel culto del loro Santo patrono, per cui – come ai tempi delle Olimpiadi del periodo classico – ogni ostilità intestina cessa, perché prevale il sentimento di appartenenza ad una comunità, che è un tutt’uno con San Rocco, che protegge e dà forza a cittadini che, in passato, sono stati colpiti da gravi sciagure, come il terremoto del 1980 o l’alluvione del 5 maggio 1998, che distrusse una parte rilevante di Siano, uccidendo cinque persone.
Il nostro Sud non può che ripartire da momenti simili, perché in tali occasioni si costruisce e si consolida un “idem sentire”, che non può che fare bene a cittadini, che portano con sé i drammi delle generazioni precedenti, a partire dall’emigrazione, che spopolò interi Comuni nel corso del XX secolo.
Sentirsi parte di una comunità siffatta non può che essere motivo di orgoglio per chi è stato “adottato”, visto che la coscienza civile, che ne consegue, rappresenta il migliore risultato e viatico, cui può ambire chi, per vocazione e per professione, ambisce all’educazione come valore assoluto ed unificante delle diversità, che altrimenti diventerebbero troppo stridenti e pericolose per il consesso umano.
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