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domenica, 15 maggio 2016 14:29 |
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Rosario Pesce
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Quello che si sta manifestando nelle ultime settimane è, invero, uno spettacolo disdicevole per un partito (o Movimento, come dir si voglia), che intende governare il Paese.
Ci riferiamo, in particolare, alla guerra di potere – neanche tanto sotterranea – che si sta producendo, all’interno del M5S, fra il livello della deputazione nazionale e gli amministratori locali, sia quelli che, da tempo, amministrano città e piccole comunità, sia quelli che, di fatto, aspirano a farlo, magari, a partire dal prossimo mese di giugno.
A tutti, orbene, appare evidente un dato: esiste una classe dirigente nazionale, composta da Di Maio, Di Battista e da altri esponenti, che ambisce a governare l’Italia dopo la caduta del Governo Renzi e, comunque, a seguito delle prossime elezioni politiche; per altro verso, esistono degli amministratori locali, fra i quali il Sindaco di Parma, che rivendicano la propria legittima autonomia, visto che il loro mandato elettorale non è stato, invero, conferito dai vertici nazionali, ma dai cittadini, a cui unicamente devono dare riscontro obiettivo del loro operato.
È evidente che una simile posizione non piaccia alla classe dirigente romana del Movimento, che invece intende, sia pure in forme molto diverse, avere il controllo sistematico di quanto succede nelle periferie, per cui, quando poi il livello locale recrimina la propria indipendenza, ineluttabilmente scattano le ritorsioni, che possono arrivare fino all’espulsione dal M5S.
Un simile comportamento denuncia l’esistenza di un problema molto serio all’interno della realtà, certamente, la più viva e dinamica dell’odierno quadro politico italiano: quale governance si deve dare un Movimento, che non vuole divenire partito, ma che mette in essere, al tempo stesso, azioni che ricordano i partiti di massa degli anni Cinquanta del secolo scorso, al cui interno esistevano una disciplina ed un rigore verticistico, davvero, inusitati?
La morte di Casaleggio, in tale contesto, rappresenta un ulteriore fattore aggravante: infatti, in un Movimento nel quale la deputazione parlamentare mette il becco, molto fortemente, nell’operato dei Sindaci, egli rappresentava di fatto non solo il guru, ma anche quello che era in grado di dare una struttura razionale ad un Movimento, altrimenti in preda o all’anarchia ovvero alle mire espansionistiche di questo o di quel leader assai giovane ed intraprendente, che aspira a stabilire compiti, prospettive di crescita e mansioni di ciascuno.
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Con la sua dipartita, è inevitabile che sia scoppiata la guerra di potere fra i Grillini, che si combatte a colpi di espulsioni e di atti verticistici, che non fanno bene all’immagine di un’organizzazione, che pare abbia assunto, fin troppo velocemente, i difetti dei partiti storici, pur volendoli combattere, almeno in termini di propaganda mediatica.
Il passaggio del prossimo futuro è essenziale per il M5S: a giugno, si voterà nelle principali città italiane, da Roma a Milano, da Napoli a Torino, e se il dato elettorale non dovesse premiare i candidati grillini, il M5S potrebbe implodere assai prima di quanto pensato ed ipotizzato.
È evidente, infatti, che il ceto dirigente nazionale avrebbe potuto candidarsi, vista l’importanza delle metropoli che vanno al voto, evitando invece di presentare delle persone comuni ed oneste, che però non sono affatto note e che non portano nessun contributo in più rispetto al voto di opinione, che i Grillini già ricevono da qualche anno.
Di Battista non poteva, forse, essere un ottimo Sindaco di Roma, così come Di Maio di Napoli?
Se il M5S avesse scelto questo percorso, molto probabilmente avrebbe stravinto in occasione del prossimo voto amministrativo, per cui Renzi sarebbe stato costretto, effettivamente, alle dimissioni.
Scegliendo l'iter che, invece, hanno messo in essere, nonostante il consenso che hanno nel Paese, per l’ennesima volta essi si condannano a non vincere e, dunque, a non essere affatto decisivi nell’agone politico del Paese, visto che un’eventuale vittoria dei Sindaci del PD o di Forza Italia respingerebbe di nuovo il M5S in un’area del dissenso estremo ed improduttivo, che non può alimentarsi solo di odio, di sentimenti di rivalsa o di rancori sociali per molto, troppo tempo ancora.
Pertanto, una riflessione andrebbe fatta: forse il governo delle città e delle aree metropolitane non costituiva il primo, convinto passo per assumere quello dell’Italia nella primavera del 2018 o prima ancora?
Forse, la guerra di potere, che si sta muovendo fra il livello nazionale e quello locale, prefigura un’implosione del M5S, che porterà i Sindaci eletti a prendere le distanze sempre più da Di Maio e da Di Battista e a diventare, a loro volta, dei piccoli potentati locali, autoreferenziali ed espressione di una nuova classe dirigente, investita di un potere diretto, ma effimero?
Certo è che moltissimi sono i quesiti, che ci si pone in merito al futuro del Movimento, anche perché la sua esistenza ed, anche, il suo eventuale ingresso nelle istituzioni governative centrali non sarebbero, di per sé, una cattiva notizia, se comportassero un rinnovamento tanto profondo, quanto autentico di un certo modo di fare politica, che la pubblica opinione nazionale ha, ormai, preso visceralmente in odio.
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