|
|
Rosario Pesce
|
|
Quella di Parigi è l’espressione più alta di una follia disumana: non si può, certo, perdonare chi ha messo in piedi una strage, i cui effetti vanno ben oltre l’arco temporale della diffusione della notizia avvenuta attraverso i media.
Colpire delle persone innocenti solo perché appartenenti ad un’altra religione o ad una cultura diversa dalla propria è un atto vile, che deve indurre alla riflessione quanti, finora, hanno sbagliato nel realizzare, solo in modo parziale, politiche dell’integrazione, che andrebbero piuttosto rafforzate e potenziate.
È ineluttabile che fatti, come quelli di Parigi, non aiuteranno invero la pace: finanche, le persone più sagge e prudenti, sull’onda dell’emozione, potrebbero essere indotte ad atteggiamenti vendicativi, che poco o nulla hanno a che fare con la costruzione di un mondo di pace e di una prospettiva compiutamente irenica per l’Occidente, che dall’11 settembre 2001 non riesce a trovare un equilibrio, almeno, accettabile.
Per la seconda volta consecutiva, nel giro di circa un anno, viene colpita peraltro la città più cosmopolita d’Europa, la capitale della cultura fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, visto che l’essere stati, un tempo, il centro dell’integrazione rappresenta, agli occhi dei terroristi, un demerito e non una virtù, come invece dovrebbe essere.
Inoltre, non sfugge a nessuno il fatto che il destino, toccato in sorte oggi alla Ville des Lumières potrà riguardare domani anche città che ci stanno a cuore, non solo per un fattore di mero campanilismo: Roma, Napoli, Milano potrebbero sciaguratamente essere l’obiettivo delle prossime azioni del terrorismo islamico e, purtroppo, di fronte ad un’ipotesi siffatta, peraltro non peregrina, non abbiamo strumenti difensivi, che ci possano garantire adeguatamente.
|
|