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Il sangue di un popolo

mercoledì, 19 settembre 2018 11:55

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Rosario Pesce
Il miracolo di San Gennaro è uno degli eventi più importanti non solo per la Chiesa cattolica e per il mondo delle scienze, ma per la vita sociale più in generale.
Da secoli, sia le scienze che la religione cercano di dare una spiegazione plausibile ad un evento, che non ha alcuna ragione di tipo naturale.
È evidente che non è nostro interesse entrare nel merito scientifico di un accadimento, che si riproduce in modo sistematico due volte ogni anno, ma è piuttosto interessante comprendere come un’intera comunità, che non è solo quella urbana di Napoli, abbia costruito il senso della sua fede intorno ad un fatto che, con gli schemi della ragione, non solo non è giustificabile, ma appare come l’ennesima “piaga” di un popolo martoriato e diffamato.
Ipotizzare che ad un fatto straordinario possano essere dati significati, che vanno ben oltre l’orizzonte di senso della ragione umana, è cosa davvero mirabile, tanto più per un popolo, come quello napoletano e meridionale, che - per secoli essendo vissuto sotto dittature straniere - ha conferito ai simboli una valenza trascendente che va ben oltre la portata semantica di qualsiasi altro processo di comprensione del reale.
È chiaro che un’intera comunità, in tal modo, ha trovato un fattore aggregante intorno ad un valore, il cui significato ultimo sfugge a chi si approccia alle cose del nostro mondo con una lente di approfondimento, meramente, positivista.
D’altronde, neanche si può immaginare che Napoli ed il Sud siano abitati da trogloditi e reazionari, visto che la stessa città, che da secoli crede ed assiste ad un rito simile, per altro verso è la stessa realtà culturale che, in pieno Settecento, ben prima di qualsiasi altra regione o città italiana, ha aderito allo spirito delle Scienze Nuove e, quindi, al primato della ragione empirica contro ogni riduzione teologica del sapere naturale.
Per chi conosce Napoli, non può sfuggire il fatto che il Duomo, dove avviene il miracolo di San Gennaro, sorge a poche centinaia di metri dalla Cappella Sansevero, dove sono custoditi, oltreché il Cristo Velato di Sammartino, tutti i cimeli e gli strumenti che Raimondo di Sangro utilizzava per i suoi studi naturalistici, che erano all’avanguardia non solo nella capitale borbonica, ma in tutta Europa, a tal punto che la massoneria internazionale aveva in Napoli uno dei punti di riferimento più importanti per l’intensa e libera attività scientifica che vi si conduceva contro i diktat della pur potentissima Chiesa cattolica.
Come si vede, anche da questo punto di vista Napoli non è facilmente racchiudibile in uno schema univoco di lettura: città sanfedista o all’avanguardia per gli studi intorno alla natura ed all’Uomo?
Certo, simili articolazioni non possono che far apprezzare viepiù il vissuto culturale di una città e di una terra, che hanno arricchito l’umanità, e che costituiscono - oggi - un patrimonio per gli uomini, che forse hanno smarrito sia il senso del sacro, che del laico e liberale profano.
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