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Il calcio educa, forma le menti dei nostri adolescenti: far intendere ad un giovane, che si avvicina al rettangolo di gioco, che l’unica vera molla è il dio danaro è, profondamente, diseducativo sia per chi sta portando a termine un lungo processo formativo, sia per gli stessi genitori, che, nello scoprire le qualità tecniche del loro figliolo, potrebbero essere spinti a ritenere di aver riportato alla luce il nuovo Eldorado.
Peraltro, l’Italia è, per definizione, la nazione delle cento città e degli altrettanti campanili, per cui ipotizzare - anche solo nel corso di una conversazione amena fra amici - che questo o quel centro urbano non potrà mai avere la propria squadra nella massima Serie per ragioni di cassa e di diritti televisivi, toglie al calcio italiano l’immagine di innocenza, di cui pure ha bisogno per recuperare punti e posizioni nelle graduatorie internazionali.
Certo, il Carpi o il Frosinone non potranno mai realizzare i medesimi introiti del Manchester United o del Chelsea, ma è vero – ed è ben più grave – che, neanche, il Milan o la Juve riescono, da qualche anno ormai, a produrre gli stessi utili delle società spagnole o inglesi più blasonate, a dimostrazione del fatto che il sacrificio della squadra di provincia di per sé non garantisce il successo economico né della Serie A, né di qualsiasi altro torneo, che possa organizzare la Lega o la Federcalcio.
Peraltro, gli Inglesi, che sono gli autentici maestri dello sport più amato al mondo, mettono in scena ogni anno un trofeo, corrispondente alla nostra Coppa di Lega, che vede per protagoniste le squadre delle categorie inferiori, le quali, molto spesso, arrivano finanche, in semifinale o in finale, a sfidare i clubs più prestigiosi della Premier League, riuscendo così a dare la giusta rappresentanza sportiva alle città più piccole del Regno Unito ed, al tempo stesso, a promuovere ingenti profitti, benché le squadre, che giungono a contendersi la vittoria, non abbiano tutte il medesimo seguito di tifosi, che possono avere le società di vertice del Campionato della Regina.
Forse, i nostri dirigenti dovrebbero andare a fare un bagno nel Tamigi, allo scopo di apprendere abitudini, che esaltano sia le ragioni dello sport, che quelle - altrettanto legittime - del business e del profitto?
Crediamo, invero, che la crisi economica degli ultimi anni abbia, purtroppo, reso ancora più ridondanti alcuni vizi, tipicamente italici, che oggi affiorano in tutta la loro drammaticità.
È ovvio che, se non si verificherà a breve un’inversione di marcia, il nostro Paese – e non solo il calcio professionistico – rischierà di morire per gli effetti di una clamorosa crisi di valori, che sarà, finanche, più grave di quella strettamente economica, che forse - come aveva ben capito Calvino nel corso del Cinquecento - ne è, solo, la forma fenomenica più chiara ed intellegibile.
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