|
|
Rosario Pesce
|
|
Sin dai tempi di Cartesio (della res extensa e della res cogitans) il mondo occidentale ha declinato il paradigma della distanza fra la ragione umanistica e quella scientifica, nettamente distinte fra di loro perché la seconda si fonda sul primato della quantità, che non appartiene alla prima.
Il sapere europeo, pertanto, si è fondato su questo discrimine: da una parte i saperi della natura; dall’altra quelli dell’uomo, per cui tale differenza si è protratta fino al pieno Positivismo, che ovviamente ha reso paradigma quello che, in forme diverse, la filosofia aveva già detto a partire dal Seicento.
Un’altra parte del mondo, invece, ha continuato a predicare una visione sincretica delle ragioni dell’Uomo e della Scienza, per cui non è un caso se, soprattutto in Estremo Oriente, l’olismo è - tuttora - l’indirizzo di fondo delle filosofie locali, a dimostrazione del fatto che, finanche da questo punto di vista, esiste una profonda differenza fra l’Occidente e l’Oriente.
Non si può, certamente, negare che il dualismo di Cartesio sia stato uno degli elementi culturali, che ha determinato la crescita civile e culturale dell’Occidente, perché in quella visione filosofica era implicitamente espressa l’idea del primato delle scienze della natura, che ha reso possibile - in particolare - lo sviluppo economico e tecnologico della nostra parte di mondo.
Il mondo indiano, invece, rimasto fermo alla vecchia sapienza di tipo olistico, non è stato in grado di promuovere analogo sviluppo in termini economici e civili, per cui, anche per effetto di fatti filosofici di tal genere, dal Seicento ad oggi si è prodotto lo scarto fra il mondo occidentale e quello orientale, rendendo il secondo molto più debole rispetto al primo.
La nascita degli specialismi ed il trionfo ridondante delle scienze della natura sono stati, pertanto, la chiave di svolta dell’Europa, che solo a partire da Cartesio in poi ha avuto modo effettivo di costruire il concetto di modernità, uscendo essa stessa dal Medioevo.
Ma, oggi il primato delle scienze della natura e della tecnologia, che ne è derivato, non è più in grado da solo di descrivere il mondo in forme compiute, visto che anche in termini economici il beneficio, derivato per l‘Uomo, non è in linea con le aspettative e, soprattutto, perché esiste una sfera del nostro vivere che non è riducibile a mera estensione e quantificazione matematica della stessa.
Forse, nel foro della coscienza dell’Uomo occidentale esiste un luogo recondito dove lo stesso può continuare a coltivare l’irriducibilità della spiritualità a mero fatto scientifico?
O, forse, dopo due secoli di Positivismo consumatosi in forme diverse, si avverte l’esigenza di ritorno a quella matrice idealistica, che pure aveva informato di sé una parte non irrilevante della cultura moderna, spostando l‘interesse dalla natura a concetti come “Stato, famiglia, Io”, che oggi sono scomparsi dalle aule accademiche e, in particolare, dalla prassi quotidiana?
La crisi del sistema economico odierno, per effetto della globalizzazione, può forse indurre un nuovo esito nella speculazione filosofica, riportando al centro della stessa delle istanze di tipo spiritualistico, che troppo rapidamente le sorti progressive del Positivismo avevano contribuito a rimuovere dall’orizzonte di pensiero della filosofia occidentale?
D’altronde, la crisi della famiglia ed, in vario modo, dello Stato moderno non può non imporci di tornare a leggere i padri dell’Idealismo moderno, perché ad ogni palingenesi il mondo occidentale avverte il bisogno di “ritornare al Padre”, cioè a coloro che hanno fondato il lessico ed il pensiero, che l’umanità continua ancora a declinare, sia pure in forme - talora - molto incerte.
|
|