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Il dono di una vita

giovedì, 28 dicembre 2017 19:41

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Rosario Pesce
In un Paese, come il nostro, nel quale il tema della vita si intreccia inesorabilmente con l’etica cristiana, è chiaro che la donazione degli organi, per moltissimo tempo, sia stata osteggiata.
Fortunatamente, da un po’ di tempo a questa parte, sono cambiati gli orientamenti della Chiesa, per cui sta crescendo il numero di persone che si orientano per la donazione dei propri organi, sia in vita (come nel caso di rapporti familiari), sia una volta che la vita si è interrotta, finanche con donazioni multiple.
È ovvio che, per aumentare il numero di trapianti, che vengono realizzati nel nostro Paese, non solo bisogna fare in modo tale che sia sempre maggiore il numero di coloro che decidono di donare, ma in particolare bisogna potenziare le strutture nelle quali sia possibile fare i trapianti in condizioni di sicurezza per il paziente che si appresta ad una nuova fase della vita.
In tal senso, non può che essere opportuno che ciascun cittadino metta per iscritto la propria volontà, in modo tale che le istituzioni preposte possano, poi, procedere all’eventuale espianto degli organi in caso di morte, soprattutto se questa dovesse essere prematura o violenta.
Peraltro, anche ragionando in termini cinici, di mera contabilità, un’eventuale diffusione della cultura della donazione degli organi non può che comportare vantaggi per il pubblico Erario.
Infatti, quanto costa allo Stato, oltreché alle famiglie, un paziente che a giorni alterni è costretto a fare la dialisi?
Oppure, quanto costa un paziente che necessita di un fegato o di un polmone per poter assicurare a se stesso una vita, almeno, accettabile?
Ed è, poi, evidente che, in tale calcolo, non si possono non considerare i costi derivanti dalle sofferenze, che invece si risolverebbero, solo se l’Italia avesse la medesima percentuale di trapianti dei Paesi scandinavi o, comunque, del Nord dell’Europa.
È pleonastico sottolineare che, quando si parla di vita e di morte, si mette mano a tematiche che interrogano profondamente la coscienza di noi tutti, a prescindere se siamo laici ovvero credenti, ma è altrettanto indubbio che l’eventuale crescita dei trapianti, fatti in modo legale e secondo un protocollo trasparente e chiaro, metterebbe fine al mercato illecito degli organi, che induce molti Europei ad andare nei posti più sperduti del mondo ad acquistare la speranza di una vita, appena, migliore.
In tal senso, forse anche la legislazione dovrebbe consentire un reperimento più facile degli organi, per evitare che le attese siano lunghe e, molto spesso, infruttuose: non sono rari i casi nei quali l’organo compatibile sia arrivato quando il paziente era, già, morto.
Lo spirito laico può far crescere, per davvero, la civiltà del nostro Paese, in particolar modo se cessa quel manicheismo che, per secoli, ha contrapposto in modo netto le istanze della ragione con quelle della fede.
Forse, con Papa Francesco, su questa tematica come su molte altre, è arrivato il momento giusto per una simile, proficua liaison?
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