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Rosario Pesce
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Renzi, fiutata la difficoltà per gli esiti del prossimo referendum costituzionale, ha tentato di mettere a segno un colpo importantissimo per il suo futuro: chiudere l’accordo intorno alla nuova legge elettorale, allo scopo di compattare, il più possibile, il proprio partito.
Nella rete renziana è cascato il buon Cuperlo, che ha firmato l’accordo in rappresentanza di una minoranza del PD, che ormai non esiste più, visto che molti degli esponenti di quell’area o hanno lasciato il partito o hanno già reso pubblico il loro voto in favore del NO, a prescindere dagli accordi stipulati ieri.
Ma, vediamo nel merito la proposta di legge elettorale, che il Comitato del PD ha varato con il voto unanime di tutti i componenti: si passerebbe da un sistema a doppio turno ad uno a turno secco, con l’abolizione di fatto delle preferenze, visto che saremmo in presenza di collegi uninominali.
Altresì, verrebbe previsto che ogni Regione deve sottoporre al vaglio popolare l’elezione dei propri rappresentanti all’interno del nuovo Senato delle autonomie.
Sulla carta, il nuovo modello di sistema elettorale ci appare convincente, visto che, peraltro, evita che un partito possa vincere le elezioni con una quota di consensi, invero, troppo bassa all’interno della società italiana, come avverrebbe se venisse confermato il ballottaggio, attualmente sancito dall’Italicum.
Ma, delle obiezioni nascono in merito al percorso politico, che ha portato all’introduzione della nuova bozza.
Si può, come ha fatto Cuperlo, barattare il sostegno ad un progetto di revisione costituzionale, così significativo, con l’adesione ad un’ipotesi di revisione del meccanismo elettorale, che deve essere, poi, proposto al vaglio dei parlamentari?
È molto strano che una personalità dell’esperienza e dell’intelligenza di Cuperlo sia caduta in un tranello teso dalla malizia, così evidente, dell’odierno Presidente del Consiglio, tanto più nelle immediate prossimità della competizione referendaria, che imporrebbero una pausa di riflessione.
Peraltro, Cuperlo era il candidato della minoranza alla guida del PD, per cui la sua firma appare, almeno, giungere in ritardo rispetto alla dinamica di uno schieramento interno, che si è mosso invece con largo anticipo prima delle determinazioni del proprio mentore.
Inoltre, visto l’andamento della campagna elettorale, ci appare la mossa renziana utile per acquisire qualche titolo giornalistico, piuttosto che per fare proselitismo intorno al Sì, dato che è lapalissiano che gli Italiani voteranno per ragioni di opinione e non di diktat da parte di questo o quell’esponente di partito.
Certo è che Renzi ha dimostrato, comunque, di essere un ottimo tattico, ma sappiamo bene come, in politica, la tattica non può condurre da sola alla vittoria, se disgiunta dalla strategia e da una cornice di valori di riferimento, che dovrebbe essere sempre ben salda e netta.
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