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domenica, 02 ottobre 2016 19:36

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Roma - Palazzo Chigi
Rosario Pesce
Quella referendaria è, certamente, la partita più difficile che - finora - ha giocato Renzi, visto che da questa dipende il prossimo quinquennio della politica nazionale.
Napolitano, più volte, dall’alto del suo ex-scranno quirinalizio, ha pubblicamente bacchettato il Premier, accusandolo giustamente di aver troppo personalizzato la contesa referendaria, per cui, così facendo, ha regalato qualche punto a favore della propaganda del NO, che non aspettava altro, se non un siffatto ed inatteso dono.
Peraltro, il fatto che il Presidente del Consiglio vada, ancora, in televisione a fare propaganda per il Sì, sta a significare che l’errore non solo non è stato cancellato, ma viene riprodotto, quasi per effetto di uno stimolo ossessivo-compulsivo.
Infatti, appare a tutti evidente che, nei prossimi mesi, sarà cosa buona e giusta, per chi crede nelle ragioni del Sì, che queste vengano rese pubbliche e siano descritte e propagandate da altre personalità, che non siano - appunto - né il Premier, né qualche suo avvenente Ministro.
Altrimenti, ineluttabilmente il voto referendario si trasformerà in un’adesione pro o contro l’attuale Governo e questo fatto non aiuterà, invero, la vittoria referendaria, dal momento che mai il Governo è stato in una così forte condizione di difficoltà.
Ma, perché Renzi ha commesso – e continua a commettere – l’errore di personalizzare una competizione, che dovrebbero giocare altri attori?
È ovvio che il merito dell’eventuale modifica della Costituzione, in caso di vittoria del Sì, verrebbe comunque sempre ascritto a lui ed all’Esecutivo, che guida, per cui il suo atteggiamento non solo è pleonastico, ma è addirittura nocivo.
Forse, vuole scrivere, in modo definitivo, il suo nome sotto la nuova Costituzione?
Ma, questo, qualora pure avvenisse, non modificherebbe il corso degli eventi: ci sono stati Presidenti della Repubblica o Presidenti del Consiglio, negli Stati Uniti ed in mezza Europa, che hanno perso il loro scranno, finanche, dopo la vittoria nei due Conflitti Mondiali, che invero è molto più importante, per la vita civile di un Paese, di un successo in una competizione referendaria.
È ovvio che Renzi sia stato, suo malgrado, la longa manus, attraverso cui si è consumato un percorso parlamentare, che ha portato all’approvazione del nuovo testo: un siffatto iter è stato ispirato e caldeggiato dall’allora Capo di Stato, Giorgio Napolitano, che non ha perso un ruolo politico, neanche dopo aver lasciato il Quirinale.
È una dinamica, che è, ormai, evidente da tempo: prima Monti, poi Letta ed, infine, lo stesso Renzi sono stati guidati dall’inquilino del Quirinale lungo un sentiero irto e pericoloso, che avrebbe dovuto fare uscire l’Italia dalla stagione del berlusconismo ed, altresì, introdurre il Paese in una nuova epoca della sua storia recente, inaugurata - appunto - con l’introduzione del nuovo testo costituzionale.
Un siffatto progetto, ora, aspetta il responso popolare: Renzi può essere quello che raccoglie i frutti di una simile strategia ovvero può divenire il capro espiatorio, che paga per tutti, visto che Napolitano è, comunque, già uscito di scena in termini formali e Berlusconi è stato sconfitto per via giudiziaria, prima ancora che per via politica o parlamentare.
Ma, non possiamo non sottolineare che, neanche, la vittoria referendaria potrebbe assicurare la permanenza di Renzi a Palazzo Chigi dopo il 2018.
Infatti, le elezioni politiche saranno condizionate dagli esiti referendari, ma soprattutto dalla contingenza storica, che la nazione vivrà nel momento in cui si svolgeranno le elezioni e, se la crisi economica odierna si terrà costante fino allo scioglimento delle Camere, è chiaro che il Governo uscente potrà essere vittima dell’ondata di populismo, che ha già abbattuto moltissimi dicasteri in mezza Europa.
Allora, Renzi è coraggioso o intrepido, sciocco o lungimirante?
Certo, ingenuo non lo è, ma – mai come adesso – pare che stia giocando una partita, che può giovare solo ad altri attori della politica, diversi da quelli del suo stesso - lacerato - partito.
Forse, è il desiderio di immolarsi sull’altare della storia, che lo spinge a condurre una lotta solitaria?
O, forse, questa volta il suo cinismo è stato offuscato da un istinto di megalomania, che colpisce l’uomo, quando questi si sente prossimo ad un traguardo importantissimo e, fin troppo, prestigioso per le sue originarie aspettative?
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