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Arbitro o attore?

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giovedì, 15 gennaio 2015 10:08

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Rosario Pesce
Il Presidente del Consiglio, parlando in conferenza stampa del profilo del prossimo Capo dello Stato, ha dichiarato che egli dovrà essere un arbitro dei destini istituzionali del nostro Paese e non un attore.
Il suo giudizio, per quanto impeccabile sul piano formale, visto che questo è il ruolo che la Costituzione obiettivamente assegna all’inquilino del Quirinale, si scontra con l’esperienza storica dell’ultimo trentennio, dal momento che tutti i Presidenti della Repubblica, che si sono succeduti da Pertini in poi, sono stati protagonisti della vita politica, non limitandosi quindi alla mera funzione di notai delle decisioni del Parlamento o del Governo.
Molto probabilmente, è esistita una disciplina costituzionale effettiva ben diversa da quella sancita dalla lettera della Carta, per cui tutti gli ultimi Capi di Stato non sono stati soggetti passivi, ma hanno interpretato la funzione assegnata loro in modo proattivo, visto che spesso essi hanno compulsato il Parlamento, quando questo dimostrava limiti nella sua azione quotidiana, per cui – inevitabilmente – Pertini, Scalfaro, Ciampi, Cossiga, Napolitano – anche se in forme diverse – sono stati dei leaders, che hanno assunto, a tratti, una guida politica, sebbene questa non sia, esplicitamente, prevista dalla Costituzione vigente.
Essi, invero, hanno svolto una funzione di supplenza, dal momento che il loro compito è andato progressivamente ampliandosi, man mano che i partiti, a causa di Tangentopoli, hanno perso credibilità, divenendo nel corso della Seconda Repubblica così liquidi, che – a volte – si è fatta fatica, finanche, ad individuarne traccia.
Non è un caso se, due anni fa, sia stato chiesto allo stesso Napolitano di accettare un secondo mandato, perché i partiti dell’epoca – che sono, esattamente, quelli odierni – non erano in grado di individuare unanimemente un nome all’altezza del compito, per cui non rimaneva altra soluzione che confermare il Presidente uscente.
Napolitano accettò il secondo mandato, vincolandolo però alla ratifica del percorso riformatore: quindi, da Capo dello Stato, ad un tempo uscente e rientrante nelle funzioni, egli è stato – molto giustamente ed opportunamente – un vertice politico, tanto che ha deciso di dimettersi nel momento in cui ha percepito nitidamente che i partiti, che lo avevano riconfermato nel 2013, sono venuti meno agli impegni presi, visto che l’iter riformatore è, ancora, in fieri e non se ne intravede la conclusione possibile.
Scalfaro, invece, fu il vero oppositore dal Quirinale di Berlusconi e del berlusconismo trionfante, che, in quel momento storico - la seconda metà degli anni ’90 - viveva la fase migliore della sua ascesa, così come Cossiga fu quello che usò il ruolo quirinalizio per picconare, ad un tempo, la Magistratura ed i partiti della Prima Repubblica, dato che aveva intuito, meglio e prima di altri, che la stagione del compromesso tacito fra forze politiche e toghe si avviava rapidamente alla conclusione, per cui, con il suo atteggiamento, egli accelerò indubbiamente il processo di decomposizione degli equilibri istituzionali, consolidatisi nei precedenti cinquant’anni.
Ciampi, invece, pur non essendo un politico di professione e nonostante provenisse dalla Banca d’Italia, dimostrò grande perizia, quando ha saputo condurre la trattativa fra il nostro Paese e le altre potenze continentali nella fase immediamente precedente alla nascita dell’Unione monetaria, facendo sì che, per almeno un decennio, l’introduzione dell’euro portasse gli effetti benefici sull’inflazione, che si sono avvertiti nei momenti successivi al varo della nuova divisa.
Pertini, infine, fu la personalità che, prima di altri, capì che l’inquilino del Quirinale dovesse uscire dal protocollo e dalle formalità previste, per ricostruire il rapporto, in questo modo, fra le istituzioni ed il Paese reale.
Non a caso, a lui si deve attribuire il merito di aver nominato, per la prima volta, nella storia italiana due Premier laici, non appartenenti alla DC: Giovanni Spadolini e Bettino Craxi, che divennero Presidenti del Consiglio, dopo quasi un cinquantennio, nel corso del quale il vertice dell’Esecutivo era affidato, sistematicamente, ai dirigenti della Democrazia Cristiana.
Pertanto, tornando all’attualità, il giudizio di Renzi ci appare viepiù velleitario: noi comprendiamo bene come un Presidente del Consiglio, dotato di un particolare potere di iniziativa, ricerchi un inquilino del Quirinale, che non ne offuschi - con la sua presenza - i poteri, le prerogative e, soprattutto, l’immagine internazionale.
Ma, non possiamo non constatare che, mai come nella contingenza odierna, non serve al Paese un Presidente debole: sarebbe una sciagura l’eventuale elezione di un mero notaio della Repubblica, così come auspicato da Renzi, perché nutriamo scarsa fiducia nei partiti attuali e nella loro capacità di riformare lo Stato in modo efficace e risolutivo.
Quindi, sarebbe utilissima l’elezione di una personalità, che non faccia rimpiangere Napolitano, dimostrando grandi capacità, in particolare, nel dettare i tempi al Parlamento ed, eventualmente, essendo in grado di compulsare o emendare l’azione del Governo, qualora questa si arrestasse o, peggio ancora, dovesse debordare dalle linee generali tracciate all’atto del suo insediamento, nel febbraio del 2014.
Invero, quando un Presidente della Repubblica, come ha fatto Napolitano, ragiona da leader politico dotato di una statura internazionale, può accadere che il suo operato sia oggetto di critiche feroci da parte della stampa nazionale, come è successo quando, dopo la caduta del Dicastero Berlusconi nel 2011, egli preferì promuovere la nascita del Governo Monti, piuttosto che mandare il Paese ad elezioni anticipate, esattamente come fece Oscar Luigi Scalfaro, quando si trovò in una situazione analoga, nei mesi conclusivi del 1994, optando per il varo dell’Esecutivo Dini, invece che per nuove elezioni, che probabilmente sarebbero state vinte dal Cavaliere, dopo il tradimento della Lega, che aveva fatto venir meno la fiducia al primo Gabinetto Berlusconi.
Noi, però, crediamo che il virtuoso modello presidenziale, incarnato da Scalfaro o da Napolitano, per usare espressioni semplificatorie, ma efficaci, sia prezioso per il Paese, anche in vista dell’interesse di Renzi, il quale non può divenire l’uomo forte della Repubblica, eleggendo un Capo di Stato esattamente funzionale ai suoi, pur legittimi, progetti politico-istituzionali ed alle sue ambizioni personali.
È, quindi, auspicabile, se non necessario, che nella fase odierna, ai vertici dello Stato, esista una diarchia, per cui, finanche mettendo in conto un rapporto giustamente dialettico fra Presidente della Repubblica e del Consiglio, sarebbe opportuno che a capo della “nave” Italia ci siano due ammiragli, per evitare al Paese di rimanere vittima del primo scoglio, nel quale esso dovesse – sciaguratamente – incagliarsi a causa dell’imperizia conclamata della ciurma, composta purtroppo da partiti deboli, autoreferenziali ed, altamente, litigiosi al loro interno.
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