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L'estate degli Italiani: santi, poeti e navigatori (virtuali!)

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lunedì, 15 agosto 2016 08:34

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Mafalda Bruno
L'altro giorno parlavo con un'amica di un libro che mi stava appassionando molto. Sapendo che pure lei è una patita di Camilleri, le ho detto "quando lo finisco te lo passo così lo leggi sotto l'ombrellone". Mi ha guardato come fossi un'aliena: "ma non mi serve il libro, lo cerco sull'e-book del mio smart phone!". Dire queste cose ad una che, ancora oggi, adora la carta stampata, l'odore dei libri e si inebria con il frusciare delle pagine sfogliate, non è il massimo. Ti senti pure scema perché sei andata in libreria a comprare quel libro. Vabbè, sono cambiati i tempi, amen, facciamocene una ragione. (comunque continuo ad andare in libreria, sia chiaro).
Del resto, basta dare un'occhiata intorno al nostro luogo di vacanza o di permanenza: tutti, ma proprio tutti, hanno uno smart phone in mano. Certo, anche noi, ma questo dilagare di connessioni, un pò fa pensare. E quindi penso. Una volta andare in ferie o in vacanza significava staccare da doveri e incombenze a cui si era obbligati nel resto dell'anno. E questo ancora vige, per tutto, tranne che per il telefonino. Siamo un popolo perennemente connesso, ci possiamo dimenticare il portafoglio a casa, i documenti, le chiavi ma mai il cellulare, non sia mai che ci si perda qualcosa mentre non è in mano nostra.
E che cosa mai ci possiamo perdere? Ma la foto più recente dell'amica X, il piatto prelibato che si gusta l'amico Y, la sagra delle melanzane su cui ci informa un altro amico, la zona di vacanza sia essa di mare o di montagna: tutte le realtà di vita, in ogni momento, di chi sta sulla nostra lista di amicizie insomma. Abbiamo la necessità di sapere cosa combinano, e anche far sapere cosa facciamo noi e come ce la passiamo.
Questa mania dell'eterna connessione ha un nome: FOMO (fear of missing out = paura di essere tagliati fuori). Pare che dal cervello, quando arriva un nuovo messaggio o una nuova notifica sul nostro cellulare, parta una sostanza benefica, la dopamina, che rilascia nel corpo piacere e sorpresa. Segni che equivalgono a: "evviva, qualcuno mi pensa, c'è chi si ricorda che esisto".
A farne le spese sono, manco a dirlo, i contatti interpersonali. La comunicazione langue sempre di più se invece di chiacchierare spensieratamente con la vicina di ombrellone, la nostra attenzione è sempre e solo rivolta al telefonino, visto mai che suoni o vibri. Con il cervello sempre in allerta ad ogni minimo trillo, che conversazione di senso logico puoi mai sostenere? Nessuna. A meno di non avere un cervello multitasking, cosa altamente improbabile.
La moderazione quindi è fortemente raccomandata, ma serve a poco se non parte da una consapevolezza ferma e decisa, altrimenti è come raccomandare moderazione nel bere ad uno a cui piace l'alcool. E la nostra dipendenza da connessione, spesso, rasenta questo pericolo. Buona abitudine sarebbe ogni tanto spegnere proprio il cellulare. Scrivo "spegnere", non mettere vibrato o silenzioso. Insomma, premere il tasto che ti saluta pure (il mio, gentilissimo, mi dice "a presto"! Ok a presto, caro). Almeno nelle pause relax e durante la notte, salvo se si hanno situazioni di emergenza, tipo la prole in giro per il mondo. Questo anche per dare un buon esempio ai nostri figli: se un amico ti manda un messaggio alle 3 di mattina, segno è che ha qualche problema, spero non grave, ma sicuramente di insonnia. Se la tua reazione è quella di dover leggere assolutamente il messaggio e di dover rispondere, gli insonni diventerete due.
Per finire, forse vale la pena riflettere su un dato di fatto: la perenne presenza sui social poco o niente ha a che fare con la nostra vita reale. Possiamo anche scattare una foto fighissima e postarla ad uso e consumo dei nostri amici, magari desiderando persino di ingenerare invidia: tiè, guarda dove mi trovo! Guarda come sono in forma! Ma questo non toglie che magari, subito dopo lo scatto quella foto, abbiamo mandato al diavolo qualcuno, scoperto di avere il conto in banca in profondo rosso e quindi essere furibondi, dato di matto perchè si è bruciato l'arrosto, o perchè il gatto l'ha fatta fuori dalla sua lettiera.
Ma queste cose non si postano in rete. Giammai. Mica puoi star lì ad assillare il prossimo con le tue beghe personali quotidiane.... meglio essere ammirati che compatiti, recitava un adagio. E magari sarà pure vero, ma è sempre più evidente la distanza tra la nostra realtà di vita normale, e le istantanee sui social networks.
Prenderne atto è già un piccolo passo avanti. Forse.
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