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Un partito diviso

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martedì, 02 agosto 2016 09:29

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Rosario Pesce
Quella del PD è una minoranza silente.
Infatti, da quando Renzi è il Segretario Nazionale di quel partito, essa ha poche volte, invero, disturbato il manovratore, consentendo che venissero approvate in Parlamento le leggi, che poi hanno maggiormente danneggiato il PD, sancendo così la separazione fra il Partito Democratico e la sua base tradizionale di consenso.
Dalla legge 107 al Jobs Act, dalla riforma della legge elettorale a quella della Costituzione, gli oppositori interni del PD hanno sempre manifestato un disagio, ma poi, al momento del voto parlamentare, si sono accodati, votando insieme alla maggioranza, per cui il loro “distinguo” è stato molto debole, se non inesistente.
Ora, dopo l’esito delle elezioni amministrative, la minoranza si è risvegliata, ricordandosi forse che, in un partito della Sinistra, è venuto pure il momento che qualcuno si alzi e prenda la parola contro il Segretario Nazionale, quando per effetto delle sue scellerate politiche il Partito ha perso una fetta importante del suo consenso.
Ma, il risveglio ci appare tardivo, visto che le elezioni amministrative sono, ormai, andate perse in modo fragoroso ed, in particolare, appare scontato che la pubblica opinione abbia iniziato ad avversare, da tempo, il Governo in carica.
Peraltro, la minoranza è costituita di un ceto politico molto variegato ed, invero, poco o scarsamente unito al suo interno, se non per l’avversione a Renzi ed al renzismo dominante.
Per lo più si tratta di ex-comunisti, alcuni dei quali hanno avuto, in passato, responsabilità importanti di Governo, da D’Alema a Bassolino, forse dallo stesso Veltroni a molti esponenti locali, dei quali taluni non si sottopongono al vaglio elettorale da molti anni.
Altri, invece, sono giovani esponenti politici, coetanei di Renzi, che potrebbero rappresentare l’alternativa al Presidente del Consiglio, almeno da un punto di vista anagrafico, ma ci sembrano troppo poco abili nel bucare il video, come si dice in gergo, per cui la loro carriera – crediamo – non potrà essere altrettanto fulminante quanto quella del leader odierno.
Parliamo di Speranza e di D’Attorre, le cui qualità intellettuali, peraltro, sono evidenti, come la lucidità in molti ragionamenti, che pure essi - coraggiosamente - conducono.
Infine, ci sono i Presidenti delle Regioni, da Emiliano a Rossi, che in passato hanno avuto, spesso, motivo di dibattere in pubblico con Renzi, finanche con toni molto forti e non è, certamente, un caso se il Governatore toscano si è candidato come alternativa al Segretario attuale in vista del prossimo Congresso, la cui data ancora non è nota, visto che l’esito del referendum di ottobre sarà determinante per Renzi per la tenuta sia del Governo, che della sua Segreteria Nazionale.
Come si nota, non mancano quindi leaders, che si propongono per imprimere un nuovo corso al PD, ma le difficoltà non mancheranno, dal momento che, dopo circa tre anni di renzismo, bisogna ricostruire lo spazio virtuale del Centro-Sinistra, che Renzi ha fatto deflagrare, così come è d’uopo fare pace con quanti, il cui voto il Partito Democratico non è più capace di intercettare, a partire dagli insegnanti, che si sentono mortificati dalla cosiddetta “Buona Scuola”.
L’opera non si presenta per nulla facile, anche perché il Grillismo è molto forte ed, inoltre, è ineluttabile che, quanto prima, il Centro-Destra dovrà ricostruirsi intorno ad una figura diversa da Berlusconi.
Noi assisteremo ben consci che, se la minoranza democratica avesse avuto più coraggio, molto probabilmente il Paese non avrebbe mai eletto tanti Sindaci grillini e, soprattutto, il PD avrebbe avuto ancora un’identità univoca, che ora stenta ad avere, sia essa progressista o moderata o liberale o centrista.
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