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Il Calcio metafora della società

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domenica, 03 luglio 2016 16:58

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Rosario Pesce
L’Italia, che ha perso contro la Germania, certo non può definirsi fortunata, visto che uscire ai calci di rigore, in una competizione sportiva molto importante, qual è un Europeo, non rappresenta mai una condizione felice per chi risulta sconfitto.
Ma, al di là del dato tecnico, nel quale non entriamo, vogliamo sottolineare un aspetto molto importante, che ci dà informazioni non solo di calcio, ma di costume della nostra società.
La formazione, che ha affrontato il Campionato Europeo, era partita inizialmente non baciata dal favore del pronostico, per cui, qualsiasi risultato fosse giunto, sarebbe stato accolto molto serenamente dai tifosi italiani, coscienti del fatto che, ormai da qualche anno, il nostro calcio non produce più i campioni di un tempo.
Orbene, una simile squadra, che ben riflette lo spirito guerriero del suo condottiero, composta per lo più da calciatori inclini allo sforzo fisico ed all’agonismo, ma certamente non superdotati da un punto di vista strettamente tecnico, ha di sera in sera conquistato le simpatie dei nostri connazionali, che si sono identificati in un gruppo proletario, privo delle stelle del passato, quali potevano essere Rivera, Mazzola, Baggio, Del Piero, Totti.
In qualche modo, l’Italiano medio ha visto riflesso se stesso in una squadra inferiore, sul piano squisitamente tecnico, ai propri avversari, ma dotata di un grandissimo desiderio di fare bene, andando molto al di là dei propri oggettivi limiti.
Quindi, il calcio nel nostro Paese è stato, per l’ennesima volta, la metafora di una situazione di fatto che va ben oltre il mero evento sportivo.
In questo momento, infatti, l’Italia, sia per peso economico che politico, è nettamente inferiore ad altre potenze europee, come Germania, Regno Unito e Francia, ma recita o ambisce a recitare un ruolo da protagonista, nonostante essa non abbia più la forza contrattuale, che aveva a livello continentale ai tempi della Prima Repubblica, quando il nostro Premier (che fosse Andreotti o Craxi poco cambiava) era in grado di farsi ascoltare dai partner internazionali, che con rispetto si comportavano nei riguardi dei nostri rappresentanti istituzionali.
Oggi, in politica come in economia e nello sport, non possiamo più vantare le stelle che furono, ma possiamo unicamente fare affidamento sulla nostra capacità di uscire dalle difficoltà, puntando sulla volontà e sulla forza morale, che non ci vengono mai meno, tanto più quando abbiamo la consapevolezza di essere, comunque, inferiori all’interlocutore di turno.
Una canzone celebre recita che il valore di un calciatore non si nota, invero, da come tira un rigore; orbene, fuor di metafora, la sconfitta calcistica ci dovrebbe insegnare che il nostro valore, non solo sportivo, non si evidenzia da un episodio, per quanto sfortunato possa essere, ma dalla voglia infinita che abbiamo di ostentare e mettere in pratica la parte migliore di noi stessi.
Noi Italiani, d’altronde, così siamo fatti da secoli, visto che l’orgoglio ci ha spesso salvati da condizioni di forte imbarazzo nei momenti storici nei quali abbiamo subito – e non potevamo fare diversamente – lo strapotere delle nazioni, che sono venute a governare sul nostro suolo, impedendo di fatto per secoli la formazione di uno Stato italiano, che fosse al passo con la storia, quando esse, invece, ne avevano già uno potente ed efficiente.
Cosa fare, dunque?
Sperare che le stelle tornino a risplendere in favore dell’Italia o darsi da fare per far fronte ai limiti oggettivi, che manifestiamo in ogni ambito della vita civile?
È evidente che vada superato un certo fatalismo, tipico della nostra tradizione culturale, ma forse sarà proprio la consapevolezza del momento acuto della crisi, che stiamo vivendo come società italiana, a rappresentare il vero carburante, che bruceremo per conseguire gli obiettivi, che ci proponiamo.
Ed, allora, un rigore sbagliato sarà solo un brutto e spiacevole ricordo.
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