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domenica, 19 giugno 2016 21:07

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Rosario Pesce
L’esito delle elezioni odierne deciderà le sorti del Governo; infatti, in caso di fragorosa sconfitta del Premier nelle città più importanti, da Milano a Roma, da Torino a Bologna, sarebbe evidente la scollatura fra il Paese reale e quello delle istituzioni, al momento rette dal Presidente del Consiglio, invero, più coraggioso degli ultimi decenni, in virtù della scommessa, da lui giocata, intorno al referendum costituzionale di ottobre.
Nelle ultime due settimane di campagna elettorale, Renzi, pur appoggiando i propri uomini nelle varie realtà, ha preferito - comunque - tenersi lontano dall’agone elettorale in senso stretto, lasciando ai suoi Ministri il compito arduo di andare a sostenere candidati che, al primo turno, hanno preso meno voti di quanto prevedessero, come nel caso di Fassino a Torino, ovvero candidati, come Giachetti a Roma, giunti al ballottaggio, solo, per evidenti errori dei loro antagonisti.
A poche ore dalla chiusura delle urne, un primo resoconto può essere fatto: il PD si dimostra molto fragile in alcune realtà del Paese, nelle quali non riesce a conquistare voti, come nel caso di Napoli, dove, per la seconda volta consecutiva, non è in grado di portare il proprio candidato al ballottaggio. Peraltro, è evidente che il difetto di quel partito consista nella gracilità della sua classe dirigente, che, nata e cresciuta all’ombra di Renzi, rischia di non avere la giusta spina dorsale per fronteggiare le difficoltà inesorabili, che in periferia nascono.
Infatti, dalla Serracchiani ad Orfini, tutti sembrano un po’ troppo proni al volere del Segretario Nazionale del PD, per cui il ruolo minoritario è riservato, unicamente, ai vecchi gattopardi della politica italiana, da Bersani a D’Alema, i quali possono finanche dire cose giuste e sensate contro il renzismo, ma non sono credibili, perché appartengono ad una stagione, che gli Italiani, prima ancora di Renzi, hanno già rottamato da tempo.
In tale contesto, è ineluttabile che il De Magistris di turno, capace di infervorare la piazza napoletana con i suoi discorsi giustissimi intorno all’equità sociale ed alla fierezza dell’essere partenopei, riesca a catalizzare il consenso che potrebbe e dovrebbe, invece, andare ad un candidato democratico, magari più saggio e meno ambizioso nella sua prospettiva di carriera.
Sembra quasi che l’anti-renzismo possa essere il leit-motiv di tale stagione, così come l’antidalemismo lo è stato nel corso dell’ultimo decennio, tanto a Sinistra, quanto a Destra. Evidentemente, la storia tende a correre più celermente di quanto non faccia immaginare l’intelligenza umana, per cui, qualunque dovesse essere l’esito stasera, i candidati del PD vinceranno, se saranno stati capaci di svincolarsi dall’ombra del loro Premier, e perderanno, se non saranno stati capaci di apparire da lui autonomi, come è successo alla Valente a Napoli, che non è arrivata neanche al ballottaggio, nonostante (o, forse, per effetto?) le numerose uscite in pubblico con il Presidente del Consiglio.
Si vince governando ed, al tempo stesso, atteggiandosi come forza di opposizione, come in passato faceva benissimo Berlusconi, che era capace di apparire il più fiero oppositore del Governo, che lui stesso presiedeva.
Oggi, tale capacità manca, invece, all’ex-Sindaco di Firenze, forse troppo identificato dalla pubblica opinione con le sue promesse non mantenute ovvero troppo “filo-governativo” per apparire valida alternativa al sistema politico-istituzionale, che lui - nell’immaginario collettivo - simboleggia, come succedeva tragicamente a Craxi ai tempi del crollo della Prima Repubblica.
È, però, prematuro anticipare giudizi, ma certo è che non solo, quest’oggi, si eleggeranno dei Sindaci di realtà molto significative, ma molto probabilmente si darà il primo colpo ad un Esecutivo, che rischia di implodere per mancanza di spirito critico e, soprattutto, di autentico acume al suo interno.
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