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Simboli e valori

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lunedì, 07 dicembre 2015 08:29

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Rilievo in pietra dei sumeri dell’VIII secolo a.C. che raffigura alcuni oranti che praticano il culto del sole
Rosario Pesce
Le polemiche, sorte in questi giorni intorno alla vicenda della scuola di Rozzano, il cui dirigente è stato pesantemente criticato per non aver consentito la realizzazione del presepe natalizio, dimostrano bene quanto, in questo momento, sia avvertita nel nostro Paese la questione religiosa, che parte innanzitutto dal rispetto dei simboli delle varie tradizioni.
È evidente che quel simbolo in particolare – la rappresentazione della Natività – incarna la storia non solo del Cristianesimo, ma di tutto l’Occidente, che da due millenni si identifica nella religione di Cristo, per cui non aver permesso la sua realizzazione, allo scopo pur legittimo di non colpire la suscettibilità eventuale di persone legate ad altri credi, può essere stato un atto improntato ad eccessiva prudenza e volontà di mediazione.
È, anche, vero che il concetto di laicità, assai complesso ed articolato al suo interno, forse merita un chiarimento ulteriore, visto che, tuttora, intellettuali e politici si interrogano sulle concrete modalità di implementazione dello spirito laico, così a chiare lettere dichiarato dalla Costituzione.
È laica una scuola che mostra nelle aule i simboli religiosi ovvero è laica quella scuola che li censura tutti, in egual modo ed indipendentemente dalla loro importanza storica rispetto al territorio di riferimento?
Quando si parla di laicità, ineluttabilmente la mente non può non andare alla nazione, dove tale valore è nato: la Francia.
Orbene, nel territorio francese, le scuole non ostentano alcun simbolo religioso, né cristiano, né islamico, e soprattutto alle donne non è permesso, in particolare negli uffici pubblici, di indossare gli abiti della tradizione islamica, che non ne consentono l’immediato riconoscimento, a partire dal velo integrale.
È chiaro che una simile prassi è transitata attraverso secoli di storia, a partire dalla Rivoluzione del 1789, che hanno sancito, in modo formale e sostanziale, la neutralità dello Stato rispetto alle fedi religiose, fra loro atavicamente contrapposte.
L’Italia è un Paese, invece, che ha avuto una storia ben diversa, per cui è giusto che il valore della laicità statuale, da noi declinato in maniera fortissima dalla Costituzione del 1948 e prima ancora dallo Statuto Albertino dell'Ottocento, passi attraverso una mediazione ideale, che i Francesi e gli Inglesi, ad esempio, non possono comprendere a pieno
dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Simbolismo_religioso
È legittimo, pertanto, che il Crocefisso sia esposto in aula ed è giusto che venga realizzato il presepe, così come avviene nelle nostre case, purché questi simboli non vengano, però, utilizzati in senso strettamente identitario, per cui potrebbero, in quel caso, divenire strumento di esclusione e non di inclusione sociale, culturale ed interreligiosa.
Pertanto, la riflessione andrebbe spostata dall’oggetto in sé all’uso, che se ne fa: la Natività di Cristo è un valore che può accomunare Cristiani e Musulmani, purché tutti ne capiscano il sotteso dato antropologico, che prescinde da quello - strettamente - confessionale e dogmatico.
A tal riguardo, siamo certi che saranno i nostri maestri in grado di insegnare tale significanza agli allievi, allo scopo di evitare guerre di religione fra di loro, che metterebbero le scuole ed i propri dirigenti di fronte ad una scelta molto difficile e, per certi aspetti, comunque sempre sbagliata, qualunque essa sia.
L’amore, la comprensione reciproca, il rispetto della diversità, l’integrazione sono categorie che vanno declinate, prima ancora che in modo formale, attraverso il sapiente uso dei simboli ed, in tal senso, il presepe o l’albero sono, certamente, quelli più potenti, perché in grado di dare una plastica immagine di ciò che si vuole simboleggiare.
Non è un caso se, nel presepe, il pastore bianco e quello di colore sono l’uno accanto all’altro, così come vicini sono il pastore di origini arabe e quello di origini indoeuropee.
Pertanto, per tal via, il simbolo non diventerebbe un bene esclusivo di una tradizione, ma si trasformerebbe in patrimonio che accomuna gli esseri umani, a prescindere dal Dio in cui essi credono.
Sarà la scuola italiana in grado di realizzare questa mediazione culturale, tesa a costruire un consesso sociale più sereno ed armonioso al suo interno?
O altre polemiche nasceranno ancora, tese a prefigurare ed a far implodere un conflitto di civiltà, che sarebbe assai pericoloso sia per l’immediato presente, che per il futuro prossimo dei nostri amati figli?
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