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Il default della Grecia e dell'Europa

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domenica, 28 giugno 2015 17:29

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Rosario Pesce
L’uscita della Grecia dall’euro, che molto probabilmente sarà ufficializzata la prossima settimana, dopo lo svolgimento del referendum indetto da Tsipras, rappresenta la prima, importantissima sconfitta per l’Europa, che i nostri Capi di Stato e di Governo hanno tentato di costruire nel corso dell’ultimo ventennio.
È evidente che le conseguenze della fuoriuscita della Grecia dall’euro sono imprevedibili, non solo per il Paese ellenico, che di fatto così dichiara un default ineluttabile.
I Greci passeranno dall’attuale moneta ad una diversa, che avrà un valore - almeno - dimezzato rispetto all’euro, per cui si creerà una spirale economica e finanziaria, che determinerà certamente effetti a catena sull’intero continente, visto che una divisa, con un potere d’acquisto molto differente da quello attuale, non potrà che agevolare le nazioni che hanno una struttura produttiva più debole e gracile.
Si immaginava, quando fu eletto Tsipras, che, a partire dal caso greco, sarebbe cominciata una nuova stagione per l’Europa, ma invero nessuno avrebbe osato ipotizzare che il tracollo ellenico potesse prodursi in tempi così rapidi ed inattesi per la burocrazia di Bruxelles e di Strasburgo.
Infatti, i tentativi, esperiti dall’Eurogruppo per rientrare in possesso delle enormi cifre, stanziate in favore del Governo di Atene, sono andati tutti falliti, dal momento che era ineluttabile che l’insolvibilità greca non potesse essere risolta con interventi meramente dilatori e con palliativi, che non risolvono il problema alla radice.
L’Italia, la Spagna e tutti i Paesi del Mediterraneo cosa faranno, dopoché il precedente ellenico comincerà a pesare ancora di più sugli umori delle rispettive pubbliche opinioni nazionali?
È ovvio che i cittadini europei degli Stati maggiormente sovraesposti indicheranno nella Grecia un modello virtuoso da seguire immediatamente, per cui molti cominceranno a teorizzare l’opportunità di un fallimento pilotato per molte nazioni, allo scopo di liberarsi di una moneta dal valore di scambio improponibile e di introdurre, di nuovo, le vecchie divise svalutate, che però consentivano all’economia di girare e di produrre utili, senza i quali lo stesso bilancio pubblico non può non andare in sofferenza per il conseguente contrarsi della base imponibile.
L’Italia ha, fortunatamente, un’economia molto più forte di quella greca, per cui, nonostante i conti del nostro Stato non siano perfetti, è impensabile - finanche solo - prevedere che si possa seguire la traccia segnata dall’Esecutivo di Atene.
Sarebbe, però, opportuno promuovere una riflessione seria sull’odierna Europa, che, con la perdita della Grecia, vede la propria immagine internazionale molto indebolita.
Nelle stesse ore, infatti, nelle quali Tsipras, di fatto, portava la nazione di Platone, Aristotele e Socrate fuori dal contesto finanziario continentale, il nostro Presidente del Consiglio invano batteva i pugni sul tavolo per essere ascoltato in riferimento all’emergenza dei migranti, pur di far accettare dai suoi colleghi il piano di ripartizione dei nuovi arrivi sul suolo europeo.
La sordità degli altri Presidenti del Consiglio, che hanno lasciato l’Italia in una condizione di non beata solitudine nell’affrontare i problemi derivanti dallo sbarco di centinaia di migliaia di disperati, non è - in verità - un bel segnale per un’Europa, che si scopre essere sempre più egoista e poco attenta alle esigenze degli Stati meridionali, visto che il baricentro decisionale è, inevitabilmente, spostato verso la Germania ed i Paesi nordici, che rappresentano - al momento - la mera estensione politica ed istituzionale del Paese tedesco.
Due fatti, questi, che fanno intendere le rilevanti difficoltà attuali: i forti ritardi nel processo autentico di integrazione della comunità continentale rappresentano la causa più stridente e palese del fallimento conseguente nelle politiche dell’accoglienza ed in quelle finanziarie, per cui sarebbe giusto iniziare a pensare ad assetti diversi o, addirittura, ad un’exit-strategy, che possa – nell’immediato – far aumentare il potere contrattuale delle nazioni, come le nostre del Mediterraneo, che poco e male vengono ascoltate dai propri alleati.
Il sogno di De Gasperi e di Spinelli di un’Europa, finalmente, pacificata sta tramontando miseramente di fronte all’insano egoismo tedesco, per cui sarebbe equo che, prima di una riedizione del caso greco in salsa italiana o spagnola, si chiedesse di rimettere mano ai Trattati, allo scopo di tutelare una conquista, a cui pregiudizialmente nessuno di noi vuole rinunciare.
L’Italia avrà la forza per fare tanto o, forse, il nostro Presidente del Consiglio, impegnato nel riformare la Pubblica Amministrazione, ha colpevolmente dimenticato il mandato elettorale, che il suo partito - a guida bersaniana - aveva ricevuto dagli Italiani in occasione del voto del 2013?
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