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Fabrizio Federici
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Che differenza c’è tra ‘vedere’ e ‘guardare’? Tutti coloro dotati di vista vedono ma quanti riescono a guardare… È questo il tema conduttore di questa inusuale raccolta di racconti: l’incapacità degli essere umani di mostrarsi liberamente per ciò che sono, desiderano, amano; per poi nascondere i loro impulsi e le loro emozioni dietro comportamenti scontati e rassicuranti - per loro stessi ma anche per gli altri – per il vivere sociale. Perché soffochiamo le nostre pulsioni? Per non sentirci rifiutati. Oppure perché la pedissequa osservanza delle norme equivale alla certezza di essere accettati e dunque ‘normali’, e dunque ‘affrancati’ dall’onere di pensare e di agire in maniera ‘altra’. O anche perché rapporti collaudati seppur stanchi, sono un ambito più protetto rispetto a quello che vorremmo, tuttavia ignoto. Oppure, infine, per paura, semplicemente.
Questo il motivo conduttore di "Io, guardo" di Gambini editore (2023. e. 18,00: piccola ma attenta casa editrice, capace di scovare autori interessanti e innovativi, e sensibile a tutto quello che apre finestre sul nuovo)con la virgola apposta a sottolineare l’unicità di chi non ha bisogno delle pupille per comprendere, come il titolo del primo racconto, col protagonista che, nonostante tutto, continua il suo viaggio alla scoperta del mondo. Il racconto sull’osservazione come strumento di indagine della realtà, non in quanto “necessità di sopravvivenza, ma come piacere dell’assaporare”, dove l’atto stesso di guardare diventa atto necessario, privo di finalità o giudizio. Sedici racconti suddivisi in quattro sezioni o, meglio, quattro stadi dell’esistenza: ‘Dell’incomprensione e della sua perseveranza’; ‘Dell’ineluttabile e della sua deprecazione’; ‘Della sagacia e del suo apprendimento’; ‘Della pietà e della sua costernazione’. In tutti i racconti le atmosfere paiono sospese nel tempo e dunque sempre attuali, calate in un universo immaginifico dove il protagonista è sempre l’essere umano con i suoi paradossi, i suoi dolori, le sue contraddizioni.
È, dunque, ‘Io, guardo’, un libro coinvolgente, dalle trame inusuali e inaspettate ma sempre e comunque inevitabilmente proprie delle umane vicissitudini.
L’autore, Andrea Weismer, è uno sconosciuto scrittore dalla ambigua identità con un nome che non conosce distinzione di genere, ma solo intende l’appartenenza al genere umano. Quella di Andrea Weismer, tuttavia, è la voce di un autore originale e letterariamente maturo, per capacità di scandagliare l’animo umano con sguardo lucido e acuto, svelandone comportamenti, fragilità e mistificazioni. La sua scrittura è un atto di coraggio proprio perché prende l’avvio dall’ “incomprensione e dalla sua perseveranza”, ma tale coraggio è sostenuto da un’attenzione puntigliosa, o meglio scrupolosa per la scelta lessicale; che diventa anche piacere divertito nel declinare e giocare sulla variazione sottile, capace di farsi ritmo e melodia.
Si ritrova, attraverso la lettura dei racconti, l’assoluta bellezza della lingua italiana che viene riscoperta attraverso la giustezza dei termini, indagati e conosciuti finanche nella precisione scientifica della singola sfumatura.
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