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Rosario Pesce
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In questi mesi molto difficili il sentimento, che non ci ha mai abbandonato, è certamente quello della speranza.
La speranza di mettersi alle spalle quanto prima i dolori derivanti dal Covid; la speranza di poter costruire, dopo la fine della pandemia, un mondo possibilmente migliore di quello odierno; la speranza di poter limitare il numero dei morti.
Naturalmente, un anno dopo lo scoppio della pandemia, i sentimenti rimangono inalterati, nonostante il dramma vissuto: i morti sono stati, ad oggi, anche più numerosi di quelli che si temeva e l’uscita, comunque, non è ancora vicina, visti i ritardi nella consegna e nella somministrazione dei vaccini.
Cosa fare, quindi?
La speranza non deve essere mai abbandonata, perché - nonostante tutto - il sentimento di comunità non si è mai sciolto e questo consente di poter affrontare le difficoltà con maggiore forza.
Certo è che, dinnanzi a noi, c’è un altro anno in cui dovremo convivere con il virus, visto che lo stesso non potrà essere eradicato nel giro di pochi mesi.
Ed, allora, alla speranza si deve aggiungere la consapevolezza che una parte importante del percorso è stata compiuta e che rimane da percorrere la parte finale di un iter, che dovrà portarci nella primavera del 2022 alla vita normale, a quegli standard esistenziali di cui potevamo godere prima dello scoppio del Covid.
Ce la faremo?
È evidente che la società mondiale – ed in particolare quella occidentale – deve vincere la sfida posta dal virus, non solo in termini sanitari.
Bisognerà infatti, ricostruire un’economia in grande difficoltà, così come sarà necessario costruire una società che sia rispettosa dell’ambiente e delle più elementari norme in materia di salute pubblica, ma questi sono traguardi ambiziosi, al cui raggiungimento sarà necessario lavorare - ancora - per moltissimo tempo con il sentimento della fiducia nell’avvenire.
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