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Rosario Pesce
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L’inizio della fase 2 segna, in qualche modo, il ritorno alla normalità, anche se lo stesso sarà scandito con tempistiche e modalità diverse, in base alle diverse regioni ed, in particolare, in funzione degli esiti progressivi del monitoraggio epidemiologico.
Vogliamo, in primis, sperare che non ci sia il temuto innalzamento della curva dei contagi nei quindici giorni successivi all’apertura del 4 maggio, perché questo vorrebbe significare il ritorno alla condizione precedente e, dunque, alla chiusura totale di uffici, aziende e di esercizi commerciali, come è stato nei mesi di marzo e di aprile.
Certo, il ritorno alla normalità si potrà definire concluso solo nel prossimo mese di settembre, quando riapriranno le scuole, anche se le modalità di tale riapertura sono - tuttora - da definire in modo particolareggiato, visto che gli edifici scolastici sono potenziali luoghi di esplosione dei contagi, vista l’alta densità di persone (per lo più, minori) che - ogni giorno - frequentano le scuole.
D’altronde, le incertezze non mancano, visto che gli stessi scienziati non hanno intuito a pieno, finora, la complessità del fenomeno Covid.
Basti pensare che, fino a qualche giorno fa, si credeva che i bambini fossero, di fatto, immuni: invece, è scoperta di questi giorni che, in pazienti di età infantile, il Covid può determinare serie problematiche di natura vascolare, che possono indurre patologie sistemiche.
Ed, allora, le scelte politiche non potranno che essere condizionate dai pareri dei tecnici, che nei prossimi mesi dovranno analizzare i dati che man mano emergeranno, allo scopo di indicare soluzioni utili al Governo nella prospettiva della tutela della salute pubblica e della necessaria ripartenza delle attività sociali.
Ma, quando la normalità sarà tale?
Certo, non potrà essere tale, se il ritorno degli scolari sarà per gruppi e non per classi intere, così come la normalità sarà, ancora, una chimera se ci saranno limitazioni nella fruizione dei mezzi di trasporto o nel funzionamento degli uffici o nell’apertura degli stessi al pubblico.
Gli interrogativi non mancano ed, allo sfondo di tutto, campeggia un nemico - il virus ovvero le sue possibili mutazioni geniche - che nei prossimi mesi potrebbe essere presente ancora fra noi, in modo subdolo ma altrettanto pericoloso.
Ed, allora, se i politici vanno al seguito degli scienziati e questi ultimi cercano di disegnare scenari possibili, in assenza di evidenze empiriche odierne, che potranno essere acquisite solo con il progredire dell’infezione, noi cittadini non potremo che auspicare non il mero ritorno alla normalità (che abbiamo intuito essere molto problematico), ma la ridefinizione del nostro stesso stile di vita, ben sapendo che probabilmente non torneremo, almeno nell’immediato, a vivere la vita così come l’abbiamo conosciuta prima del Covid.
Siamo di fronte ad un fatto epocale, che senza enfasi cambia la storia dell’uomo e di fronte ad eventi di simile portata non possiamo che cogliere il segno di una novità, sperando che, dopo la tragedia immensa di migliaia di morti, ci possa essere la speranza della luce di un nuovo modo di essere sia nella nostra dimensione privata, che soprattutto in quella pubblica, visto che la paura del contagio ha leso le nostre certezze in merito alla socialità e, quindi, alla nostra naturale propensione ad essere soggetti storici in continua tensione verso l’altro.
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