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La fase dell’incertezza

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venerdì, 01 maggio 2020 10:35

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Rosario Pesce
È evidente che la cosiddetta Fase2 sia quella più marcatamente segnata dall’incertezza.
Infatti, non sappiamo in primis quali effetti possa determinare sulla curva del contagio la riapertura progressiva degli opifici e delle attività commerciali ed imprenditoriali.
Un altro nodo da sciogliere è quella della Scuola perché, se ormai è certo che le lezioni in presenza riprenderanno solo a settembre, ci sono molti dubbi in merito alla tipologia di lavoro che si possa fare nelle prime settimane di attività, all’inizio del prossimo anno scolastico, visto che le aule scolastiche potrebbero essere un punto critico per l’eventuale accensione di nuovi centri di infezione, con tutte le responsabilità conseguenti a carico dei capi di istituto.
A giugno l’infezione potrebbe essere sostanzialmente terminata, ma potrebbero verificarsi anche nuovi casi di contagio, che costringerebbero le autorità a tornare sui loro passi ed a richiudere il tutto, riportando di fatto la situazione a quella del bimestre marzo-aprile.
Peraltro, si ignora quale possa essere il ciclo di vita del virus in autunno, quando potrebbe tornare, anche a seguito di mutazioni geniche, che potrebbero renderlo più debole o più virulento.
Come si intuisce, l’incertezza domina sovrana e dai dubbi di natura epidemiologica non possono che derivare quelli di natura politico-istituzionale, visto che il Governo centrale e quelli regionali non sempre hanno proceduto in modo sinergico.
Tuttora, gli indirizzi di pensiero e gli orientamenti sono i più diversi: da una parte, c’è chi vorrebbe accelerare la riapertura effettiva del Paese, invocando ragioni economiche e di sopravvivenza per molti strati sociali; per altro verso, ci sono coloro che manifestano, invece, atteggiamenti di maggiore prudenza, ben sapendo che la battaglia potrebbe non essere conclusa e che potrebbe cominciare, ora, una fase di sviluppo del contagio - finanche - peggiore di quella conosciuta in questo primo scorcio di primavera.
Ed, allora, cosa bisogna fare, visto che - comunque - un vaccino potrebbe essere pronto non prima del prossimo inverno, nella migliore delle ipotesi?
Accelerare o frenare?
Chiudere o aprire?
Certo è che il nostro Paese ha bisogno di normalità e, forse, una saggia mediazione fra le ragioni economiche e quelle sanitarie deve essere individuata, se non si vuole che i danni siano, effettivamente, irreversibili sia in termini di tenuta del consesso sociale, che di promozione dello sviluppo.
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