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Da: https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-04/la-mediazione-della-chiesa.html
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Rosario Pesce
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Il Covid ha trasformato, in modo netto, la vita di noi tutti, visto che da un giorno all’altro tutte le nostre abitudini sono andate in un cassetto e sono state sostituite da altre, che hanno acquisito il tratto della cogenza, appena è entrata in vigore la normativa della chiusura totale di attività e di momenti di socialità.
Ma, in particolare, credo che sia mutato il rapporto fra Uomo e Dio, visto che il lungo periodo di meditazione, cui siamo stati indotti, ci ha portati a riflettere sul ruolo del divino nella nostra esistenza.
In passato, nel Medioevo soprattutto, in caso di pestilenze l’Uomo si affidava a Dio sperando che, con l’intervento benefico della Trascendenza, egli potesse uscire dalla crisi.
Oggi, invece, sembra che la questione sanitaria abbia preso il sopravvento, per cui l’Uomo tende ad assolutizzare non il Divino, ma il concetto e la condizione storica della propria salute.
Ogni azione, ogni gesto – come è giusto che sia, peraltro – viene commisurato in funzione degli effetti dello stesso sulla propria salute, per cui l’attenzione per il proprio corpo e per le reazioni dello stesso diviene finanche spasmodica, eccessiva e ridondante.
In qualche modo, tutta la società avverte il morbo come condizione presente al suo interno ed il solo pensiero di doverlo evitare diviene centrale nelle riflessioni di ciascuno.
È ovvio ed è naturale che sia così, ma non si può non mettere in evidenza come, a volte, un tale pensiero diviene così ossessivo e maniacale, che si sospende qualsiasi attenzione verso altre dimensioni del vivere.
Non possiamo, quindi, non sperare che, quando la quarantena sarà finita e si passerà alle fasi successive della reintegrazione dei singoli individui nel contesto sociale, un simile abito di pensiero possa cessare e si torni, quindi, ad una socialità vissuta a pieno, nel rispetto comunque delle prescrizioni del legislatore e degli organismi sanitari, fino a quando queste imporranno cautela e prudenza nelle relazioni interpersonali.
Altrimenti, il rischio di un autismo sociale non può che imperare fra di noi, visto che ogni individuo ineluttabilmente tenderà a rinchiudersi in se stesso ed a privilegiare il solipsismo del proprio sé, piuttosto che le armonie (ed, eventualmente, anche le disarmonie) del consesso umano.
Ma, siamo certi che una simile deriva non si consumi, per ragioni di filantropia e di innato amore, da parte nostra, verso ciò che è fuori da noi stessi.
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