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Landini: politico o sindacalista?

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martedì, 24 febbraio 2015 16:53

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Rosario Pesce
La notizia del giorno è, certamente, rappresentata dalle affermazioni di Landini, il quale, nonostante le smentite successivamente formulate, ha dichiarato alla stampa nazionale la sua volontà di scendere in politica, lasciando così il sindacato, dopo diversi anni di contrapposizione frontale con la Fiat.
Il dato, che emerge, quindi è destinato a sconvolgere il quadro della Sinistra italiana: infatti, mancando una formazione, che del contrasto sociale faccia il punto di forza della propria propaganda, Landini vorrebbe - con la sua inizativa - riempire un siffatto vuoto.
D’altronde, le cifre del voto europeo sono più che esplicite.
La Sinistra alternativa a quella del PD, nello scorso mese di maggio, raccoglieva solo il 3% dei consensi: un valore numerico invero bassissimo, se si considera che Tsipras, in Grecia, ha preso più del 30% dei voti e se si analizza il dato presunto della lista Podemos in Spagna, che è accreditata - in vista della tornata elettorale di settembre - di un livello di gradimento non dissimile da quello della greca Syriza.
È ovvio che l’eventuale discesa di Landini nell’agone parlamentare non risolverebbe, come d’incanto, tutti i problemi: per quanto la sua leadership possa essere carismatica e giustificata dalle lotte sindacali, che ha compiuto in questi anni, invero la sola presenza del sindacalista non potrà consentire alla Sinistra, nel nostro Paese, di conquistare fette di elettorato così importanti, come è successo in altre realtà continentali.
Però, è evidente che la volontà di Landini di misurarsi con l’impegno partitico costituisce la notizia più rilevante degli ultimi mesi, perché – comunque – si rilegittima un’area, altrimenti destinata ad essere sempre più residuale negli equilibri culturali della nazione.
La presenza di una Sinistra alternativa, in Italia, non solo è auspicabile, ma finanche necessaria, perché la sua nascita ed il consolidamento elettorale, che ne può conseguire in tempi brevissimi, toglierebbe consenso alle forze qualunquiste, che pure si agitano da qualche tempo.
Infatti, chi esprime dissenso verso le politiche del Governo Renzi, da domani in poi, potrà avere un’altra opzione, oltre a quelle attualmente a disposizione, che si identificano con il voto alla Lega o al M5S o, peggio ancora, con l’astensionismo.
È ineluttabile che le riforme renziane abbiano determinato una disaffezione intorno al Premier, il quale non potrà contare su un consenso ampio, come quello dello scorso mese di maggio, per cui chi, identificandosi nelle posizioni della Sinistra post-comunista, vorrà votare contro il Premier, avrà - finalmente - un interlocutore valido nel sindacalista, che dovrà mettere insieme forze, che - da troppo tempo - contano poco o nulla nello scacchiere parlamentare italiano.
Sel di Vendola, Rifondazione Comunista, la minoranza interna del PD di Civati e Fassina, a questo punto, non potranno non riconoscersi nella leadership di Landini ed, attraverso un percorso di tipo federale, creare le premesse di un nuovo partito o lista, che ambisca a conseguire il 10% dei voti.
Questo, infatti, è il dato presumibile, a cui può aspirare una nuova soggettività, che dovrà chiedere a molti nostri concittadini di dare sintesi politica al loro dissenso, onde evitare che esso si esprima attraverso l’astensionismo, che costituisce la patologia, per antonomasia, dei sistemi democratici moderni.
Peraltro, il sistema elettorale, che il Parlamento varerà nelle prossime settimane, aiuterà lo sforzo di Landini, perché, venendo disincentivate le coalizioni, è chiaro che la presentazione di una lista, che farà una battaglia meramente identitaria, non può che agevolare chi, in questo momento, non deve stipulare alleanze, ma ha l’obbligo di rappresentare un’opzione politico-culturale, che manca – ormai, da qualche tempo – sulla scheda elettorale.
È chiaro che una formazione siffatta, vista la natura moderata dell’elettorato italiano, non potrà mai nutrire un sogno maggioritario, ma molto probabilmente potrà consolidare un rassemblement, che servirà come utile contrappeso alle spinte populiste della Destra di Salvini e della Meloni.
D’altronde, esiste fra la pubblica opinione un antieuropeismo progressista e non reazionario, che in Italia non è, al momento, incarnato da nessun partito, per cui, in verità, non è possibile ipotizzare che tale valore divenga patrimonio esclusivo della Destra populista e neo-fascista, che - da qualche anno - tenta con successo di rappresentare il volto di un Paese assai diverso da quello che si identifica nel Governo e negli sforzi - mediaticamente sostenuti - del Premier.
Il rapporto con il capitalismo italiano sarà l’elemento essenziale della nuova soggettività politica.
Landini ha acquisito consenso, in questi anni, contrapponendosi con coraggio leonino alle posizioni di Marchionne e della Fiat dei nipoti dell’Avvocato, per cui egli dovrà portare in Parlamento il carico ingente e rispettabilissimo delle sue battaglie sindacali, ben sapendo che, al momento, i grandi capitalisti sono i principali sostenitori di Renzi, insieme all’Unione Europea, e che un’eventuale ripresa dell’economia nazionale costituirebbe, per chi aspira a fare l’opposizione, una notizia esiziale, perché ridurrebbe, ineluttabilmente, gli spazi della dialettica sociale e della dinamica tradizionale fra le forze della produzione e quelle del lavoro.
Finora, le prime hanno vinto, sistematicamente, la battaglia: l’approvazione del Jobs Act ne è la dimostrazione più significativa, per cui il tentativo di Landini, volto a proporre un modello di Italia differente, è meritorio, ma si scontra con difficoltà oggettive e con problematiche più che decennali.
Ad esempio, gli operai, che non hanno scioperato, non riconoscendosi nella piattaforma del sindacalista e della Fiom, nel chiuso dell’urna elettorale voteranno per il Landini leader partitico?
L’altra Italia, quella dei dipendenti pubblici, dei professori, delle nuove e radicate debolezze sociali, si identificherà nel progetto della nuova Sinistra o voterà per il Governo o per la Destra leghista?
Sono, questi, interrogativi che meritano una risposta: certo è che non si può non riconoscere a Landini il merito di contribuire a fare chiarezza con la scelta legittima di esaurire il suo impegno sindacale e di misurarsi sul consenso - quello vero e decisivo - che si conterà alle prossime elezioni politiche.
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