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Rosario Pesce
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La morte di Radice segna, nel calcio italiano, un discrimine fra epoche diverse.
Radice è stato uno degli allenatori che, maggiormente, ha vinto negli anni Settanta ed è stato, insieme ad altri, il fautore della transizione dal calcio tradizionale a quello più dinamico e collettivo, tipico di quel modo di giocare che fu importato dall’Olanda.
Il fatto stesso che egli abbia condotto una società gloriosa, come il Torino, all’unico scudetto del dopo-Superga costituisce, per la storia del calcio italiano, un merito straordinario, visto che per decenni lo scudetto è stato solo una questione privata di tre club, Juve Inter e Milan, per cui tutti gli altri sodalizi, sia del Nord che del Sud, sono stati costretti a recitare il ruolo di comprimari, destinati alla sconfitta.
Peraltro, in quegli anni non sono mancati altri grandi allenatori: da Trapattoni a Bersellini, da Vinicio a Pesaola, tutti in grado di nobilitare lo sport più amato dagli Italiani con idee, comunque, innovative rispetto a quelle del calcio dei decenni precedenti.
Inoltre, non si può non ricordare che quel calcio era molto meno ricco di quello attuale, visto che l’unico introito era costituito dal botteghino, non esistendo ancora le televisioni a pagamento, che hanno consentito l’incremento notevole del volume di affari intorno all’evento calcistico.
Era, pertanto, ancora il calcio romantico del campanile e del blasone.
D’altronde, Radice ha avuto la fortuna ed il merito di allenare la prima squadra di Torino, quella maggiormente amata dai Torinesi doc, a fronte di una Juve che, per quanto fosse più vincente, era invece per lo più seguita dai meridionali che, negli anni Sessanta, erano emigrati nel capoluogo piemontese per lavorare alle dipendenze del più importante gruppo industriale italiano.
Quindi, la sua vittoria fu, a maggior ragione, ridondante: aver sconfitto gli acerrimi avversari della Juve ha rappresentato, per pochi allenatori, una gioia ed un primato nella storia dello sport nazionale.
Di quel calcio rimangono, oggi, solo foto in bianco e nero: un calcio che era uno spettacolo puro, visto che non era condito da altri elementi ludici.
Forse, si può tornare a quel mondo che non c’è più?
O, forse, ci dobbiamo rassegnare ad un calcio più ricco in termini economici, come quello odierno, ma certamente più povero da un punto di vista umano e tecnico?
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