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Rosario Pesce
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Quello che si preannuncia è un Natale, per davvero, povero.
È da qualche anno che, nell’immediatezza del Natale, ci troviamo a scrivere un editoriale per mettere in rilievo il disagio del nostro Paese, che si trova a combattere una crisi, economica e politica, senza precedenti.
Invero, quello di quest’anno è più povero dei precedenti, perché i segni della recessione, che stavano per sparire, pare che siano tornati in auge in tutta la loro drammaticità.
In primis, l’instabilità politica, certamente, non dà una mano al Paese ad uscire dalla crisi finanziaria, che esso vive: l’innalzamento dello spread ha, poi, contribuito ad erodere ulteriormente i risparmi degli Italiani, che si trovano a fronteggiare una crisi di liquidità, forse, mai vista dagli anni Sessanta in poi del secolo scorso.
Peraltro, l’intera Europa si trova in una condizione non dissimile, visto che le incertezze istituzionali, in merito al futuro dell’Unione, non aiutano la crescita e lo sviluppo, che avrebbero bisogno di un contesto ben differente rispetto a quello odierno.
È ovvio che la globalizzazione ha contribuito non poco a creare il clima siffatto, ma non si può rimanere a recriminare su ciò che è avvenuto nel corso degli ultimi trent’anni, dalla caduta del Muro di Berlino in poi.
Sono mutate, infatti, molte coordinate geo-politiche, ma in particolar modo è venuto meno il riferimento statuale, visto che oggi i mercati sono in grado di condizionare gli esiti economici molto più di quanto non possa fare il legislatore.
Cosa fare, allora?
Forse, continuare a sperare in un cambiamento catartico, che sia in grado di generare una palingenesi a livello globale?
O, forse, auspicare che le competenze e le capacità della classe dirigente attuale possano dare una svolta al momento odierno?
Certo è che il Natale 2018 poco si associa allo spirito di festa e ciò non può che essere un freno, non solo per quanti vivono in difficoltà, ma anche per coloro che vivono ancora forme residuali di benessere.
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