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Rosario Pesce
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È impensabile concepire il nostro Paese fuori dall’Europa, sia per motivi storico-culturali, che per stringenti ragioni economiche.
L’Italia e l’Europa, sin dal Medioevo, sono state una sola cosa, nel senso che le vicende, che hanno portato sul nostro suolo al conflitto fra l’Impero ed il Papato, sono state quelle che hanno segnato la storia dell’intero continente e non poteva essere diversamente, visto che il Papato aveva sede a Roma e l’Impero era nato sulle tracce di quello Romano.
Poi, il nostro percorso si è distinto da quello di altri Paesi, Francia ed Inghilterra in particolare, dal momento che noi Italiani siamo arrivati all’unità nazionale molti secoli dopo di loro, giungendo ad un esito che è stato messo in discussione, sia da Sinistra che da Destra.
Oggi l’Italia, non solo per la centralità geografica che ha nel continente, è una componente importante di un’Unione, che può essere criticata, ma certo non può essere eliminata o cancellata da un giorno all’altra.
Peraltro, finanche la stessa Europa sarebbe zoppa senza di noi, visto che il primo sforzo di costituzione della Comunità nacque a Roma nel momento più acuto della contrapposizione fra i due blocchi.
L’Italia non è il Regno Unito, che può permettersi il lusso della Brexit senza pagare un dazio rilevante, almeno finora.
Fuori dall’Unione, il nostro diverrebbe un Paese ancora più marginale di quanto possa essere stimato da alcuni, per cui saremmo costretti a vivere una vicenda, istituzionale e monetaria, molto pericolosa per gli stessi equilibri democratici.
È evidente che, in questi anni di Unione monetaria, non tutto è andato per il verso giusto, ma il ritorno alla lira ovvero ad un euro di seconda fascia sarebbe l’inizio di una dinamica inflazionistica, che potrebbe per davvero rendere i poveri ancora più poveri ed erodere le stesse ricchezze della fasce che, al momento, si possono ritenere agiate.
Per questo motivo, sarebbe giusto e prudente, per l’intero ceto politico nazionale, promuovere una riflessione sul nostro ruolo in Europa che non sia il frutto di un’ansia populistica, che può solo danneggiare un Paese, come il nostro, che dal dopo-Tangentopoli in poi è, ancora, alla ricerca di un sistema di partiti che sia all’altezza delle sfide che impone il tempo storico odierno.
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