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sabato, 18 agosto 2018 22:17

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Rosario Pesce
Facendo un conto rapido, crediamo che non convenga allo Stato procedere alla revoca del contratto di concessione con la Società che ha gestito, finora, la rete delle autostrade italiane e che dovrebbe farlo fino al 2038.
È probabile che, nel caso della tragedia di Genova, sono venuti meno dei controlli, che avrebbero dovuto suggerire di interrompere il traffico automobilistico sul ponte, almeno fino al completamento della necessaria manutenzione.
Ma, tali controlli dovevano essere operati sia dalla società, che detiene la gestione della struttura, sia dal Ministero dei Lavori Pubblici, a cui – in casi simili – è demandato un controllo di secondo livello, cioè un controllo sugli atti e sulle certificazioni, che produce la società privata incaricata di fare sia la manutenzione ordinaria, che quella straordinaria.
Peraltro, l’eventuale revoca immediata del contratto di concessione determinerebbe, a breve, il fallimento della società.
Chi, in quel caso, risarcirebbe le vittime della tragedia, che non sono solo le famiglie dei morti, ma anche tutti quei cittadini genovesi, che hanno perso la loro casa, che sorgeva nei pressi dei piloni del ponte?
Inoltre, è ovvio che si aprirebbe un contenzioso in sede civile, che - sappiamo bene - può durare decine di anni in tutti e tre i gradi di giudizio.
Conviene, orbene, allo Stato accendere un contenzioso con un potentissimo gruppo privato, ignorando quando tale contenzioso può finire ed, eventualmente, con quale esito?
È chiaro che, nell’immediato, non si può non cedere all’impulso e ricercare, quindi, un capro espiatorio, che possa soddisfare la sete di giustizia di quanti, legittimamente, sono esasperati per l’ennesima tragedia, che poteva essere prevista e, quindi, evitata.
Ma, dopo i primi momenti di sconforto e di rabbia, come in ogni vicenda umana, la ragione deve prendere il sopravvento su qualsiasi altra dinamica, a meno che non si voglia creare un danno ben maggiore di quello che, già, si è creato in forme drammatiche.
Ed, allora, non sarebbe ragionevole prendere in considerazione l’ipotesi di rinegoziazione di quel contratto di concessione, ipotizzando magari un ristoro finanziario maggiore, per le casse dello Stato, a fronte di quello che, oggi, invece viene riconosciuto e che, da molte parti, è considerato ampiamente insufficiente in rapporto agli utili che la Società privata può assicurarsi in virtù di quella concessione, più volte riconfermata nel tempo dal 1999 in poi?
È pleonastico sottolineare che la ricostruzione del ponte deve essere addebitata per intero al soggetto privato, che pare abbia già dato disponibilità in tal senso, senza ulteriori oneri per lo Stato e per la comunità nazionale, che hanno già dovuto affrontare la morte di tanti civili, che non ha prezzo visto il rilievo della vita umana.
D’altronde, il Ministro Salvini ha, già, offerto qualche segnale di inversione di tendenza rispetto alle prime dichiarazioni, dal tono giustizialista, che pure aveva fornito.
Peraltro, non possiamo dimenticare che, di quella società privata, l’azionista di riferimento è Benetton, ma, circa il 40% delle azioni è nelle mani del mercato, per cui il danno maggiore, per l’eventuale fallimento della società, non lo subirebbe il grande capitale, che ha sempre spalle solide, ma il piccolo azionista, che vive della rendita finanziaria che attività, considerate sicure, gli possono offrire.
Ergo, una domanda sorge spontanea: questi piccoli azionisti da dove provengono?
Evidentemente, dal Nord ricco ed opulento, che vota per Salvini in modo copioso.
Forse, siamo già sulla strada del ravvedimento?
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