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Rosario Pesce
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Il Mondiale di calcio russo ci sta fornendo un messaggio molto chiaro, quanto significativo: al di là del blasone, che non va in campo, vincono le formazioni che sono state capaci di rinnovarsi nel corso dell’ultimo quadriennio, visto che i giovani – non solo nel calcio, invero – hanno maggiori forze fisiche ed agonistiche ed, in particolare, hanno più fame di vittorie rispetto ai campioni acclarati, che invece si sentono già soddisfatti per i successi del passato, sia nelle Nazionali, che nelle rispettive squadre di club.
È ovvio che una simile verità va ben oltre il mero calcio: non solo nello sport, ma in tutti i settori della vita associata bisognerebbe fare largo ai giovani, che sono non solo il futuro, ma già il presente di una società che, altrimenti, è troppo matura e ricurva su se stessa.
Fa impressione un dato: in una partita molto importante, qual è stata Francia-Argentina, fra il calciatore più in vista di una squadra e quello dell’altra la differenza anagrafica era di dodici anni e non poteva non vincere, evidentemente, quello che è più giovane e meno logoro, sia fisicamente che soprattutto mentalmente.
Anche, per questo motivo le Nazionali, che hanno vinto le ultime tre edizioni del Mondiale, sono state tutte eliminate, dall’Italia alla Germania, dalla Spagna al Portogallo, che è campione d’Europa, tuttora, in carica.
Forse, come in politica, anche nel calcio i cicli dei campioni sono più brevi di un tempo?
Forse, non è più fattibile che, nel calcio moderno, fatto di agonismo più che di tecnica, lo stesso calciatore giochi quattro Mondiali di fila?
Forse, molto semplicemente, quando non si è più nelle condizioni di essere competitivi come nel recente passato, bisogna avere il coraggio di attaccare le scarpe al chiodo, come si dice in gergo, e di fare largo alle nuove e rampanti generazioni?
Certo, il calcio è la cartina di tornasole della società: se un calciatore non ama farsi da parte, come potranno farlo i rappresentanti delle altre categorie professionali?
Semplicemente, un po’ meno di gerontocrazia farebbe bene, non solo, al calcio italiano ed europeo?
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