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sabato, 02 giugno 2018 12:49

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Rosario Pesce
La ricorrenza del 2 giugno costituisce, pur sempre, un momento importante per la nostra comunità nazionale, che ha modo di ricongiungersi ad un evento essenziale, quale fu il referendum che decretò la nascita della forma repubblicana nel lontano 1946.
È chiaro che i compleanni vanno festeggiati, ma non bisogna mai cadere nella retorica.
Il nostro Stato repubblicano ha superato moltissime difficoltà ed, oggi, la nostra democrazia è molto più forte di quanto non lo fosse negli anni Cinquanta o Sessanta o Settanta del secolo scorso.
Ma, è evidente che le difficoltà non mancano.
In particolare, non si può non evidenziare quanto difficile sia il passaggio di questi mesi, per cui di fatto è stata sconfitta una classe dirigente, che ha governato il Paese negli ultimi venti anni, e si è affermato un nuovo ceto, che ora si appresta a governare fra mille aspettative di cambiamento e di rinnovamento dello status quo.
Come in tutte le fasi di questo genere, non può che essere auspicabile un surplus di saggezza, perché è ovvio che i cambiamenti possono generare momenti virtuosi di svolta, ma possono anche accompagnarsi a momenti ulteriori di difficoltà.
Un dato è certo: la grande riforma della Costituzione, su cui si ragiona dai tempi di Craxi, non si è mai compiuta, per cui in particolare è rimasta immutata la forma di Governo, che esalta i poteri e le prerogative della democrazia parlamentare.
Sarà, questa, la forma di Governo utile anche per gestire le criticità dei prossimi anni?
O, come richiesto da molti, bisogna forse ipotizzare l’approdo ad una forma diretta di democrazia, che metta da parte le lentezze tipiche del sistema di potere della Prima Repubblica?
Certo è che, settant’anni dopo il referendum che vide la vittoria dell’opzione repubblicana su quella monarchica, è giunta l’ora di migliorare l’architettura istituzionale complessiva, in modo tale che non siano più necessari tre mesi per comporre un Dicastero, come è successo all’indomani del voto dello scorso 4 marzo.
Il modo ed i contenuti di tale rinnovamento non possono, infine, che essere il frutto di una sintesi alta ed autorevole, che consenta all’Italia di essere un modello nel Mediterraneo, come sempre è stata nelle fasi di cambiamento profondo e radicale.
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