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Rosario Pesce
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Quella del nostro Paese non è, semplicemente, una crisi di ordine politico, ma lo è di sistema, perché è evidente che la sola delegittimazione dei partiti non può giustificare il fatto che, a due mesi e mezzo dalle elezioni, ancora non vi sia alcuna certezza in merito alla formazione del prossimo Governo, alle sue aspettative di vita ed alla sua composizione parlamentare.
È ovvio che la legge elettorale ha contribuito – non poco – a creare un clima siffatto, perché sarebbe bastato un dispositivo maggioritario – a turno unico o a doppio turno – per garantire una maggioranza assoluta nel Parlamento, evitando così estenuanti mesi di trattative, da cui tutte le forze ne escono male, forse ad eccezione solo della Lega, che avrebbe acquisito consensi.
È naturale, quindi, che si parla di crisi di sistema, visto che, ormai, da diversi anni il nostro Paese non conosce più Governi stabili.
È evidente che la nostra democrazia si basa su un’idea di rappresentanza proporzionale delle forze in gioco, per cui ineluttabilmente i Governi non possono essere composti semplicemente come espressione diretta del voto popolare, ma per effetto di un dibattito parlamentare che, come nel caso di specie, può essere lungo, protratto e con pochissime vie di uscita.
Cosa fare?
Una poderosa riforma della Costituzione?
Da molti anni è stata proposta una via di uscita siffatta, ma le riforme poi non sono state mai compiute, come nel caso di Craxi, che venne fermato su tale strada dalle inchieste di Tangentopoli, o come in quelli di Berlusconi e Renzi, che sono stati fermati dal voto popolare, che ha cancellato quanto di buono (e di meno buono) avevano fatto le aule parlamentari.
Ed allora diviene impossibile immaginare di riscrivere la Costituzione, almeno in quella parte che regola i rapporti fra il potere legislativo e quello esecutivo?
È pleonastico sottolineare che l’Italia ha bisogno di una democrazia che decida e che non si limiti solo a discutere: altrimenti, l’ondata di antipolitica non può che trovare un’ulteriore accelerazione per effetto di un Parlamento bloccato, che non è in grado di fare il suo mestiere, cioè di legiferare e di dare, quindi, un riscontro ai bisogni ed alle esigenze dei cittadini.
Forse, il modello francese può andare bene?
Forse, quello anglosassone potrebbe essere ancora più efficace, solo se gli Italiani imparassero la lezione del bipartitismo dagli Inglesi?
Certo è che è necessaria una via d’uscita dalla crisi odierna, a meno che non si ambisca a creare una condizione, molto pericolosa ed inquietante, di caos istituzionale.
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