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Rosario Pesce
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È evidente che l’intervista a Renzi, nella quale l’ex-Segretario del PD sancisce il rifiuto di qualsiasi forma di sostegno al Governo Di Maio, apre uno scenario nuovo nella crisi politica attuale.
Due sono le alternative: o la formazione di un Governo del Presidente, che abbia l’unico scopo di riformare la legge elettorale (evidentemente, sostenuto dal PD e dal Centro-Destra) o il ricorso immediato al voto, con la medesima legge con cui si è votato lo scorso 4 marzo.
L’intervento renziano, invero, è sembrato a molti sopra le righe, come si dice in gergo, perché appare insolito che un leader, che si è dimesso dalla sua carica, detti la linea al suo partito, peraltro entrando a gambe tese nel dibattito, visto che è intervenuto in una trasmissione televisiva, che non è il luogo deputato a questo, dal momento che l’organismo competente è l’Assemblea Nazionale, peraltro già convocata.
Ma, in politica il contenuto vale molto più della forma, per cui si deve presumere che Renzi lo abbia fatto, anche per sottolineare che i gruppi parlamentari stanno con lui, per cui chi volesse immaginare di fare del PD una cosa diversa dalle sue opinioni, deve misurarsi, ancora, con chi detiene i numeri per dettare gli indirizzi.
È ovvio che, a questo punto, è sancito di fatto il fallimento del tentativo pentastellato di formare il Governo, per cui avanti il prossimo, che non può che essere una figura di alto profilo istituzionale che, con il consenso di fatto di PD e Centro-Destra, deve tentare di governare la transizione verso una nuova fase politica, in particolare redigendo e facendo approvare dalle Camere un diverso dispositivo di voto, che consenta agli Italiani di votare, certi di esprimere una maggioranza solida.
Ed i Cinque Stelle?
Andranno all’opposizione, gridando che una manovra di Palazzo non ha consentito loro di governare, sperando così in un consenso copioso appena si andrà, di nuovo, alle elezioni?
È chiaro che la situazione odierna non consente alcuna forma di pronostico, ma è ovvio che la crisi politica, giunta a questo punto, rischia per davvero di incartarsi, perché una soluzione di tipo istituzionale, secondo la linea renziana, non può che rinfocolare l’antipolitica e creare nuovi margini di crescita per chi è portatore di un messaggio populistico.
Non era forse meglio consentire a Di Maio di partire con il suo Governo e, poi, di misurarne l’effettivo valore, politico ed istituzionale, alla presa con i problemi reali del Paese, evitando così alla nazione di essere in perenne campagna elettorale?
La politica vive di opzioni, che sono tutte legittime almeno fino a quando non si misurano con il consenso, per cui l’una poi prevale sulle altre.
Certo è che il Paese ha bisogno di un Esecutivo, che non sia solo di passaggio e che dia certezze agli Italiani: per fare questo, bisogna sempre partire dalle indicazioni degli elettori, perché altrimenti le stesse, la volta successiva, potrebbero essere ancora più dirette, immediate e stringenti.
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