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I populismi, il male del secolo

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sabato, 28 aprile 2018 22:58

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Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901)
Rosario Pesce
È evidente che, come racconta l’esito delle scorse elezioni del 4 marzo, l’Italia è attraversata da un’ondata di populismo, che interessa in modo trasversale tutti i ceti sociali, per cui gli Italiani sono stati indotti a votare contro il sistema, contribuendo al successo di formazioni politiche, come la Lega ed il M5S, che sono portatrici di un messaggio di rottura, almeno, con il ventennio precedente.
È ovvio che una tale ondata non inerisce solo all’Italia, ma l’intera Europa è interessata da una spinta populistica, che è il frutto del processo di globalizzazione e degli altissimi costi sociali, che esso ha indotto.
Ma, in Italia, una simile dinamica è stata molto più penetrante, anche perché, mentre altrove si è consumata solo una crisi politica, in Italia il trionfo dei populismi è coinciso con una crisi delle istituzioni, che va ben oltre quella dei partiti.
È evidente, infatti, che da almeno venti anni la nostra vita istituzionale è percorsa da un’ambiguità di fondo: noi siamo una democrazia parlamentare, ma gli Italiani si atteggiano come se vivessero in un sistema di tipo presidenzialistico o semi-presidenzialistico, per cui non è un caso se, dalla nascita della Seconda Repubblica in poi, nei loghi dei partiti sono presenti, finanche, i nomi dei leader e dei possibili Premier.
D’altronde, l’elettorato si orienta come se vivesse in un sistema di democrazia diretta, visto che dal 1994 in poi non vota più per un partito o per un programma, ma essenzialmente per un leader, a dimostrazione dell’eccesso di personalizzazione che si è innescato nella dinamica elettorale.
Questo, per noi, è il cuore della crisi del nostro Paese, peraltro accentuata dai processi di ordine economico e sociale che hanno riguardato l’intero Occidente.
Non è un caso se i tentativi di riforma della Carta Costituzionale, da Craxi in poi e, quindi, ben prima della nascita della cosiddetta Seconda Repubblica, sono andati nella direzione dell’edificazione di un sistema di tipo semi-presidenzialistico, a dimostrazione del fatto che l’elettorato ha sempre ricercato un rapporto diretto con il destinatario ultimo del suo consenso.
Ma, in assenza di una tale riforma, la distanza fra ciò che è e ciò che dovrebbe essere non può che essere ridondante e tale aporia, oggi, ricade in primis su chi è portatore di un messaggio fortemente populistico.
Chi, ad esempio, ha votato il M5S, sperando che ogni punto del suo programma potesse essere accolto in caso di vittoria, non potrà che essere indotto ad accettare il sistema della mediazione, che comporta la democrazia parlamentare, per cui, sia in caso di Governo con la Lega che con il PD, la nascita obbligata dai numeri di un Esecutivo di coalizione non può che scontentare chi, invece, aspirava ad una vittoria piena ed alla nascita, quindi, di un Governo che fosse la mera riproduzione nel Palazzo di quanto scritto ed affermato nella propria piattaforma programmatica.
È, quindi, in atto una competizione fra il mantenimento delle strutture tipiche della democrazia parlamentare ed una deriva populistica, che può determinare grave nocumento alle nostre istituzioni rappresentative?
È ovvio che il momento storico, che viviamo, segna un discrimine fra il recente passato ed il futuro, che è tutto da scrivere, ma una cosa è certa: se si cerca la soluzione alla crisi odierna solo in dinamiche strettamente politiche, si rischia di non comprendere a pieno l’ampiezza di una problematica, che potrà, seriamente, essere affrontata quando si dispiegherà un serio tentativo di riforma della Costituzione, che per la sua rigidità – voluta ad hoc dai Padri Costituenti – rischia, per davvero, di non essere idonea allo spirito ideale ed all’azione concreta dei nuovi tempi.
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