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Rosario Pesce
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È evidente che, in ogni momento dell’umanità di un determinato peso storico, l’alternativa è stata fra la guerra e la pace, perché i contenziosi si possono risolvere o con le armi della diplomazia o con quelle militari.
È ineluttabile che abbia prevalso molto sovente la guerra, perché è lo strumento più facile per risolvere qualsiasi tipo di conflitto, sia fra singoli gruppi di persone, che fra gli Stati.
Peraltro, come ci hanno insegnato gli antichi Romani, molto spesso si prepara e si minaccia la guerra per poi imporre, alle proprie condizioni, la pace all’interlocutore, per cui, come nel caso della Guerra Fredda fra Usa ed Urss nel secolo scorso, la guerra non si è mai effettivamente consumata, perché lo spauracchio della stessa è stato un perfetto deterrente per entrambi i contendenti.
Ma, non sempre è andata così, per cui le guerre si contano in modo copioso nella storia dell’umanità, sia quelle di interesse planetario, che quelle con una portata più strettamente localistica.
I morti, quindi, sono stati la regola di tali conflitti ed il dispiacere non può che aumentare, quando la morte ha interessato le popolazioni civili, come nel caso di molte guerre condotte in età moderna o come in quello della Seconda Guerra Mondiale.
Infatti, per quanto una guerra debba avere una sua deontologia e delle regole molto precise, queste sovente sono state di fatto cancellate, per cui a farne le spese sono state le persone più deboli, quali possono essere - appunto - i civili in un conflitto che si allarga ben oltre lo spettro dei meri professionisti delle armi.
Ed, allora, bisognerebbe fermarsi e ragionare: conviene (il termine è, volutamente, di natura utilitaristica) porre fine alla vita di migliaia di innocenti per un qualsiasi obiettivo di ragione economica o religiosa?
È evidente che la vita umana ha un valore che non ha nessun altro bene al mondo, per cui sarebbe sempre opportuno valutare una simile dimensione.
Inoltre, è ovvio che, per quanto “intelligenti” possano essere, oggi, le armi di altissima precisione, la guerra di per sé è, sempre, stupida: essa nasce da una sconfitta, che consiste nella mancata soluzione di un contenzioso attraverso le armi raffinate della diplomazia.
Certo, si dirà che la guerra è, finanche, uno straordinario fattore economico, visto che l’industria bellica può produrre ingenti guadagni solo in presenza di conflitti, più o meno cruenti, ma non si può non tornare al quesito di partenza: si può uccidere per qualche dollaro in più, giusto per citare il titolo di un’opera di Sergio Leone?
Eppure, nonostante queste considerazioni, le guerre non solo non cessano, ma aumentano in numero ed in violenza, per cui delle due l’una: o l’uomo è masochista o crede nel perseguimento di un interesse immediato, che poi si traduce nella negazione sistematica di uno di medio-lungo termine?
Forse, vogliamo tornare ad essere tutti più intelligenti ed impariamo a dirimere i contenziosi con l’arma della ragione e del diritto, negando quelle che, invece, possono far male e non poco?
Forse, sarà questo un mero auspicio irenico o sarà l’ipotesi concreta di un mondo, finalmente, migliore di quello odierno?
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