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Rosario Pesce
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È chiaro che il voto del 4 marzo segna l’anno zero della politica italiana, visto che l‘esito delle elezioni ha definito la conclusione della parabola istituzionale di molti partiti e personalità ed ha dato avvio ad una nuova stagione, i cui tratti sono ancora ben poco ipotizzabili.
In particolare, quelle elezioni hanno designato la fine del ciclo della Sinistra di governo, visto che il PD ha più che dimezzato la sua deputazione parlamentare, perdendo ben sette punti percentuali rispetto al voto di cinque anni prima.
Ma, la crisi – di uomini, idee e partiti – non è solo italiana: in tutta Europa, la socialdemocrazia è impegnata in uno sforzo di ridefinizione delle proprie categorie culturali, che certo non finirà a breve, visto che le sfide della globalizzazione hanno, in particolar modo, mostrato la vulnerabilità di uno schieramento, che non è più in grado di rappresentare gli interessi dei più deboli, come dovrebbe fare per vocazione ed istinto naturale.
Troppe volte in Italia la Sinistra riformatrice è apparsa più amica del capitale finanziario che dei lavoratori, ma queste categorie, forse, sono desuete ed anch’esse meriterebbero una rivisitazione profonda ed importante ad opera di chi ha i mezzi per farla.
Invero, neanche le altre grandi famiglie del pensiero politico europeo stanno meglio: la lezione del liberalismo e quella del cattolicesimo democratico sono soccombenti in tutti i Paesi, tranne che in quelli, come la Germania, che hanno - tuttora - standard di benessere rilevanti.
È, quindi, andata in soffitta la cultura politica del Novecento tout court?
Molto probabilmente, la risposta è affermativa, ma il dramma è un altro: quali culture prenderanno il posto di quelle che sono state sconfitte dai tempi e dal logorio della globalizzazione?
Forse, un nazionalismo in salsa moderna, che è finanche più pericoloso di quello del XX secolo, che ha prodotto i campi di concentramento?
Forse, prevarranno la pigrizia e l’indolenza degli elettori, che preferiranno delegare ad altri l’esercizio della decisione politica, decidendo di non andare più al voto e, dunque, di far fallire la democrazia con l’incremento dell’astensionismo?
Certo è che esiste una grandissima questione sociale, sia a livello nazionale che europeo, che deve essere il punto di riferimento di chi intende impegnarsi nelle istituzioni a favore del prossimo.
Esiste un Sud abbandonato a se stesso, che deve promuovere il suo riscatto, se non vuole morire del tutto e si tratta tanto del Sud d’Italia, quanto di quello mondiale, che bussa alle nostre porte con l’ingente incremento dei flussi migratori degli ultimi anni.
Invero, mancano le risorse (quelle pubbliche) per far fronte ai nuovi bisogni, mentre le ricchezze (quelle private) aumentano nelle mani di pochi, che diventeranno sempre più ricchi nei prossimi anni a fronte dei più, che inizieranno ad avvertire i segnali di una povertà ineluttabile.
A questi bisogni la Sinistra deve dare una risposta, a meno che non voglia alzare bandiera bianca, ma siamo certi che gli uomini e le idee in campo oggi sono, per davvero, quelli giusti?
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