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Rosario Pesce
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L’intervista di Di Maio a Repubblica apre una nuova fase nella crisi odierna.
Di Maio, a quanto pare, sceglie il PD come interlocutore privilegiato per la formazione del Governo, chiedendo al partito di Martina di mettere da parte le ruggini del passato e di procedere, così, alla stipula di un accordo che dovrebbe dare al Paese l’Esecutivo che aspetta dalla sera del 4 marzo.
La logica di Di Maio è ferrea, come sempre, e non fa una piega.
È chiaro che, in politica, le stagioni cambiano assai rapidamente, per cui si può divenire sodali di chi si è avversato fino al giorno precedente, per cui, certo, non ci scandalizzeremmo se il PD ed il M5S divenissero alleati nelle prossime settimane.
Peraltro, un simile accordo metterebbe fuori gioco la Destra, sia quella di Berlusconi, che è già molto debole, sia quella di Salvini, che oggi rappresenta il vero avversario di Di Maio, sia in termini politici che di proiezione elettorale.
Ed il PD cosa risponderà ad un simile invito, una volta che i suoi dirigenti avranno messo da parte le ruggini del recente passato in modo, invero, molto più veloce di quanto non lo possano fare i tifosi e supporters vari?
È ovvio che la leadership interna al PD va chiarita prima di dare qualsiasi possibile risposta alla sponda di Di Maio?
Se il gruppo parlamentare del PD si dividesse fra favorevoli e contrari, non ci sarebbero più i numeri per comporre il Governo, per cui è ineluttabile che Di Maio deve portare con sé l’intero partito, se intende davvero formare l’Esecutivo.
In tal senso, deve venire meno la cesura odierna fra i Renziani, assertori dell’Aventino, e gli Orlandiani e Franceschiniani, invece, assertori del dialogo con il M5S.
Ma, la domanda sorge spontanea.
Il PD odierno può mettere da parte Renzi da qui sino alla prossima Assemblea Nazionale del 21 aprile?
Ed, in particolare, su quale base programmatica è possibile fare l’accordo?
Abrogazione della Legge Fornero?
Cancellazione della legge 107?
Reintroduzione dell’articolo 18 nello Statuto dei Lavoratori?
Quindi, se questi fossero i termini programmatici dell’accordo, il PD dovrebbe riconoscere che ha sbagliato, in modo netto, le politiche dell’ultimo quinquennio?
E chi lo può fare?
Certo, non chi ha ispirato e/o ha firmato quei provvedimenti, come lo stesso Renzi.
Ed, allora, sarebbe necessario sospendere qualsiasi consultazione quirinalizia, in attesa che l’Assemblea Nazionale dica a Renzi che, anche per il suo stesso bene, sarebbe molto opportuno che cessasse ogni azione mirata ad interdire ed a far fallire ciò che è difficile, già, in partenza?
Forse, il coraggio mancato ai maggiorenti del PD all’indomani del referendum costituzionale del dicembre 2016, nascerà ora in modo forte e prorompente?
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