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Il monumento in bronzo a Giordano Bruno nella piazza romana di Campo de' Fiori, opera dello scultore Ettore Ferrari (1889).
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Rosario Pesce
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A distanza di quattro secoli circa dalla sua morte, non si può che evidenziare l’attualità, ancora, del pensiero di Giordano Bruno, che non solo è il campione della libertà scientifica, ma soprattutto è il punto di riferimento di quanti ambiscono ad un primato morale della libertà in tutti i campi della vita civile, non solo in quello strettamente inerente alla ricerca.
D’altronde, la sua morte rappresenta bene il calvario cui va incontro, ineluttabilmente, colui che con sacrificio e competenza cerca di rompere il tabù dell’autorità.
Il nostro Occidente, da molto tempo, è alla ricerca di una nuova cultura, visto che le ideologie ed i grandi sistemi di sapere, che sono stati prodotti nel corso dei secoli precedenti, sono ormai desueti ed, in larga misura, sono stati messi in soffitta con l’inizio del nuovo millennio.
Il sacrificio di Bruno, come quello di tanti intellettuali nel corso del Seicento e del Settecento, hanno consentito di liberare la società dalla cappa costituita dallo strapotere della Chiesa, che rappresentava un obiettivo freno alla crescita della società, oltreché all’affermazione di nuovi schemi logici e di interpretazione del mondo.
Oggi, il nostro consesso pure deve essere liberato, nella misura in cui è possibile, da un nuovo primato che rischia di far perdere il valore della spiritualità: quello del mercato e di un materialismo, in particolare, che si è ridotto a prassi, sovente, mortificante della vita.
Sarà possibile, quindi, ridefinire uno scenario possibile entro cui l’Uomo possa tornare a porsi delle domande, che ridiano brillantezza e vitalità alla dimensione del trascendente?
Peraltro, una società, come quella odierna, rischia di implodere se non inverte il suo cammino e se non viene deposto il primato di una tecnologia pervasiva ed invadente, che rischia di ingessare l’umanità e di creare delle gabbie di acciaio, come quelle cui faceva riferimento Weber agli inizi del secolo scorso.
Riuscirà l’Uomo a recuperare il senso della propria vita, al di là delle cose che pertengono ad una dimensione non esaltante tipica del mondo del divenire?
O, forse, si continuerà su una simile traccia, per cui dopo “il dio è morto”, dovremo celebrare, anche, la morte dell’Uomo?
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