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Rosario Pesce
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È evidente che il ruolo delle donne sia cambiato moltissimo nella società nel corso degli ultimi decenni.
In particolare, per effetto delle agitazioni del ’68 e dei cambiamenti indotti, la donna oggi riveste ben altra importanza nel consesso sociale, anche se le criticità non mancano.
Il crollo del vecchio cliché della donna esclusivamente come madre non ha, necessariamente, determinato la soluzione di problematiche che continuano ad esistere.
Infatti, l’ingresso nel mondo del lavoro, possibile solo se lo Stato fornisce alla donna i necessari servizi per il supporto alla genitorialità, ha acuito una condizione già ampiamente esistente: quella del precariato, che nel caso del lavoro femminile è ben più rilevante di quello maschile, visto che le funzioni impiegatizie dei lavori tipicamente femminili sono molto più esposte alla condizione precaria di quanto non siano quelle, generalmente, appannaggio dei maschi.
Ed è chiaro che la condizione precaria del lavoro per la donna, sempre alla ricerca della sua autonomia economica dal maschio, non può che essere vissuta come un elemento di frustrazione, perché di fatto ne diminuisce notevolmente il margine di emancipazione e, soprattutto, fa avvertire il fallimento delle conquiste, pur nobilissime, delle lotte degli anni Settanta.
Ma, si sa che le donne sono molto più forti di noi maschi, per cui sapranno, invero, vincere anche la scommessa lavorativa.
Preoccupa, piuttosto, un altro dato: siamo certi che, quando le leggi impongono la presenza di una quota riservata alle donne in particolare in politica, questa condizione sia una reale conquista dell’universo femminile e non sia un segno ulteriore dell’emarginazione femminile?
In tutti i settori, la differenza la dovrebbe fare il merito e non la matrice sessuale: eppure, oggi si riservano posti in lista e nelle istituzioni alle donne, come se queste fossero una categoria protetta che va tutelata e difesa, per evitarne l’estinzione.
Pur comprendendo il significato probo e le finalità di simili disposizioni di legge, siamo sicuri che questa è la via giusta per garantire la presenza equanime di uomini e donne nei posti di vertice dello Stato e della rappresentanza democratica?
O, forse, così si rischia di far vivere come eccezionale una condizione che dovrebbe, invece, essere ordinaria?
È evidente che anche la globalizzazione, intervenuta negli anni iniziali del nuovo millennio, non ha contribuito a migliorare la condizione femminile, visto che, in molte parti del mondo, dove è stata trasferita la produzione di beni di consumo, i più deboli – donne e bambini – sono i lavoratori a cui vengono richieste prestazioni professionali che, nella parte civile del mondo, fortunatamente sono loro proibite, come nel caso del lavoro minorile, o sono diversamente disciplinate, come nel caso del lavoro femminile, con ben altre tutele e forme di garanzia di diritti inalienabili.
Certo è che la condizione femminile, sia pubblica che privata, è la cartina di tornasole della civiltà raggiunta da una popolazione in determinati momenti storici: forse, finanche da questo punto di vista, la strada da percorrere è tutta in salita, ma solo l’alleanza virtuosa fra uomini e donne può indurre miglioramenti nella società, visto che l’idea manichea della contrapposizione fra i due sessi non può che far male sia agli uni, che alle altre.
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