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Rosario Pesce
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Il futuro del nostro Paese, come del mondo intero, non può che essere all’insegna della speranza, tanto più in un momento storico in cui la ripresa, pur presente, è comunque lenta e non in grado di assicurare benessere ai milioni di individui che sono alla ricerca di un posto di lavoro stabile, che dia certezze a loro ed alle loro famiglie.
In tale contesto, è evidente che la speranza si lega a dei valori e, soprattutto, a delle istituzioni, che rappresentano un elemento di continuità e di conforto per quanti vivono un periodo di sofferenze e di incomprensione.
È chiaro, quindi, che nel caso specifico dell’Italia la Chiesa svolge un ruolo fondamentale, sempre vicina ai poveri, sia quelli italiani, che quelli che provengono dal Terzo Mondo, che costituiscono per la nostra società una speranza di rinnovamento, visto che essi portano, comunque, una nuova vitalità, oltreché dei bisogni a cui l’Occidente non può non fornire una risposta adeguata e pronta.
E finanche chi è laico, come me, non può non ammettere la centralità del ruolo sociale della Chiesa cattolica, che oggi è rappresentata da un campione in ambito morale e teologico, come Papa Francesco.
Il Novecento non è stato un secolo facile per i Cristiani di tutto il mondo, visto che sono stati spesso oggetto di persecuzione da parte dei regimi dittatoriali di estrema Destra come di Sinistra: molto spesso, essi sono stati condannati a vivere la loro religiosità in luoghi occulti e lontani dal giusto conforto delle autorità civili, che vedevano nella religione organizzata dalla Chiesa un nemico non solo potenziale, ma anche attuale.
Oggi, fortunatamente, le cose sono cambiate, benché esistano ancora luoghi dove il sentimento religioso è, in qualche misura, oggetto di coercizione o di sistematica persecuzione.
Ma, la speranza non può che legarsi ad un messaggio importante e di tale valore non può che farsene portatore il Cristianesimo, che ha sempre esercitato un ruolo di mediazione sociale e categoriale da duemila anni a questa parte.
Basterà?
La speranza può, da sola, soddisfare i bisogni di quanti vivono ai margini della società, esclusi per ragioni economiche o culturali o razziali?
Certo che di speranza unicamente non si può vivere, ma è altrettanto vero che essa è il principale motore della vita umana ed, in attesa che produca finalmente i frutti necessari, è giusto e legittimo che sia viepiù il “primum movens” dell’etica privata, come della pubblica morale.
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