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Rosario Pesce
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Tutti noi non possiamo che auspicare la serenità per le nostre comunità, come per il mondo intero, visto che, mai come in questo momento storico, la pace a livello mondiale è messa seriamente in pericolo.
Le scelte del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America vanno, purtroppo, in un senso diverso da quello della vittoria degli assertori della pace.
La decisione, in particolare, di collocare la capitale dello Stato di Israele nella città di Gerusalemme non può che rinfocolare problematiche che, ormai, sono divenute croniche in una regione, come il Medioriente, da cui dipendono i destini del mondo.
Purtroppo, non solo a livello planetario, ma anche nelle singole comunità nazionali e locali, il desiderio di pace, giusto e legittimo, si scontra con una situazione concreta che va in senso opposto.
L’incremento della povertà non può che essere un fattore di destabilizzazione e, naturalmente, questo elemento, congiunto ad altre dinamiche interne alle nostre comunità, non può che determinare la mancanza di una condizione irenica, l’unica in grado - effettivamente - di promuovere lo sviluppo e la crescita civile, possibili grazie allo sforzo di quanti possono e devono dare qualcosa alla “polis” di cui fanno parte.
In questi ultimi anni, invece, da parte di molti sono state coltivate, in modo scientifico, la divisione e la contrapposizione fra blocchi, come fra gruppi o singoli, per cui il cattivo seme della distinzione si è sviluppato laddove, piuttosto, doveva crescere l’armonia.
Anche i Greci, maestri di cultura e di saggezza, ci hanno insegnato che una comunità, priva di armonia, è condannata alla “Ubris”, cioè alla punizione divina che mira a cogliere quanti hanno anteposto l’interesse di parte a quello della collettività.
Pur in una cornice di riferimenti mitologici, che non ci appartiene più, la visione del mondo dei Greci non può che essere condivisibile, visto che essi ci hanno insegnato la differenza valoriale fra “pubblico” e “privato”, fra ciò che è bene di tutti e ciò che, invece, è bene solo di pochi.
Purtroppo, la loro lezione, nel corso dello sviluppo storico del nostro Occidente, si è persa, per cui alla pace si è preferita la guerra sistemica ed al senso di gruppo si è preferita l’esaltazione dell’individualismo più bieco e pericoloso per l’intero consesso sociale.
Forse, a distanza di duemila anni circa dalla lezione della morale socratica, si può tornare a riflettere su quei valori ed individuare, finalmente, una comune chiave di lettura per eventi storici, che altrimenti sono destinati a condurre l’umanità all’implosione?
O, forse, il perseguimento del Bene comune è condannato a rimanere un pio auspicio, appannaggio di poche menti elette, costrette ad agire in una condizione deteriore, che può offendere coloro che ambiscono ad un orizzonte di pensiero trascendente e di azione concreta molto più felice di quello che, invece, si prospetta in modo drammatico?
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