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Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione il 27 dicembre 1947. Da sinistra a destra, Alcide De Gasperi, presid. del Consiglio, Francesco Cosentino, funz., Giuseppe Grassi, guardasigilli e Umberto Terraccini, presid. della Costituente
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Rosario Pesce
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Fra pochi giorni, la nostra Costituzione compirà settant’anni.
Un compleanno molto importante, visto che cade - peraltro - in un momento storico essenziale: fra tre mesi, infatti il Paese andrà alle urne e si tratterà di un passaggio molto delicato, visto che non saranno consuete elezioni per il rinnovo delle Camere.
La Costituzione, in tale contesto, nonostante i vari tentativi per riformarla, porta molto bene gli anni che ha.
Molte espressioni autorevoli del panorama politico del passato, da Craxi a Berlusconi, dallo stesso Prodi a Renzi, da De Mita a D’Alema, hanno invano prospettato delle ipotesi di riforma della Carta, ma tutti questi tentativi sono falliti, per cui, eccezion fatta per il Titolo V, la parte restante della Costituzione è quella che venne promulgata il 1 gennaio del 1948.
In particolare, sono falliti i tentativi volti a modificare gli equilibri di potere fra esecutivo e legislativo, per cui la nostra è rimasta una Repubblica di tipo parlamentare e si costruisce su una netta e virtuosa separazione di competenze e ruoli fra i tre poteri dello Stato.
La Costituzione, come è noto, è il frutto di una mediazione di altissimo spessore fra le culture politiche che avevano contribuito a sconfiggere il Fascismo: dai comunisti ai socialisti, dai cattolico-democratici ai liberali e laico-repubblicani, tutti i protagonisti della Resistenza furono protagonisti della scrittura di un testo, che nacque dopo un parto di circa un anno e mezzo, dall’estate del 1946 alla fine del 1947.
Quella Carta fu espressione, inoltre, del frutto della riflessione delle migliori menti pensanti del Novecento: non possiamo dimenticare che la fonte di ispirazione fu la Costituzione austriaca, che venne emanata dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale e, quindi, dopo il crollo del Secondo Reich.
L’autore di quella Costituzione era stato il padre della filosofia del diritto del XX secolo, Hans Kelsen, per cui la nostra Costituzione non poteva avere, di certo, migliore progenitore.
La Carta del 1948 è stata foriera di sviluppo economico e di crescita civile per il nostro Paese: è questo un dato, che nessuno dei suoi detrattori ha potuto mai negare.
Ma, molte volte è stata messa in discussione, finanche in forme inappropriate, per cui i vuoti ed i limiti della classe e dell’azione politica sono stati addebitati ad eventuali deficienze della Costituzione, ma si sa bene che i difetti degli uomini non possono essere alienati in un documento, che serba valori e principi di altissima dignità e nobiltà ideale.
Peraltro, non può sfuggire un dato: tutti coloro che hanno tentato, invero in modo improvvido, di cambiare il testo vigente, sono poi stati – per lo più – spazzati via dalla ribalta politica o, comunque, hanno visto un notevole ridimensionamento del loro ruolo politico-istituzionale.
È, questo, un dato su cui bisogna riflettere e ragionare, in particolar modo alla vigilia di un passaggio elettorale molto delicato, che vedrà gli Italiani scegliere, il prossimo 4 marzo, fra l’opzione del populismo e le ragioni della governabilità e della saggezza e moderazione istituzionale.
Pertanto, a maggior ragione, quel tesoro giuridico, che ci è stato consegnato dai Padri Costituenti, va difeso e valorizzato, perché è certamente il migliore, più avanzato, autentico ed efficace baluardo democratico contro ogni spirito avventuriero ed eventuali tentazioni di superamento dell’ordine vigente.
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