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Il rifiuto del Fascismo

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domenica, 10 dicembre 2017 12:51

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Rosario Pesce
Da un recente sondaggio si evince che la metà dei giovani intervistati rifiuta il Fascismo e lo considera, molto giustamente, un’ideologia totalizzante non in grado di fornire un modello di governo della Cosa Pubblica, per i prossimi anni, al nostro Paese.
È, senza alcun dubbio, confortante il fatto che, almeno, la metà di un campione statistico rigetti il Fascismo, tutto ciò che esso ha rappresentato per l’Italia e, quindi, ciò che vi si accompagna.
Ma, ci inquieta l’altra parte del campione: coloro che non sanno o che fingono di non sapere o che non reputano fondamentale un così netto diniego di un’ideologia e di una concreta forma di organizzazione dello Stato, che tanti danni al Paese hanno prodotto nel corso del Novecento.
Insomma, ci fa paura quella che si è soliti chiamare “zona grigia”, cioè quell’area di non espressa condivisione del Fascismo, che però poco o nulla fa per distinguersi in modo netto, “senza se e senza ma”.
Sappiamo bene come la nostra Costituzione ripugna il Fascismo, per cui non è possibile, in nessun modo, dar vita al Partito Fascista, ma la cronaca degli ultimi mesi ci ha restituito troppi casi nei quali, finanche, rappresentanti dello Stato non hanno preso le distanze, come avrebbero dovuto, dai simboli e da ciò che, in qualche misura, ricorda il ventennio.
È ovvio che, quando la democrazia è in difficoltà, le derive autoritarie sono sempre dietro l’angolo. D’altronde, lo stesso Mussolini approfittò delle difficoltà successive alla Prima Guerra Mondiale per prendere il potere con la complicità della Corona e di ambienti deviati della monarchia sabauda, per cui, con il mix di violenza squadrista e di sapiente calcolo politico, seppe divenire il Capo di un Governo che non aveva opposizioni né nel Parlamento, né nella società, perché chiunque vi si fosse opposto o avrebbe fatto la fine di Matteotti o, come Gramsci, sarebbe morto nelle carceri del regime.
Nessuno, invero, crede che la storia italiana odierna presenta le medesime condizioni del 1922, visto che gli Italiani dovrebbero essere immunizzati, ma si intuisce la difficoltà attuale, visto che la crisi economica e lo spettacolo, non sempre edificante offerto dai partiti democratici, hanno fatto sì che molti Italiani si allontanassero dalla vita pubblica e ciò non è per nulla una premessa favorevole.
Il fatto che, ad esempio, vada a votare non più della metà degli aventi diritto è una consuetudine che non apparteneva alla nostra democrazia, visto che, per oltre cinquant’anni, hanno sempre votato quasi tutti coloro che era nelle condizioni giuridiche per farlo.
Un simile scollamento fra lo Stato ed i cittadini pone, quindi, una problematica molto seria, visto che il principio di legalità, tipico delle democrazie nate dopo la Rivoluzione Francese, si regge solo se le due soggettività del contratto sociale - le istituzioni e le persone in carne ed ossa - si riconoscono reciprocamente ed esprimono fiducia le une nelle altre.
Altrimenti, non certo si cadrà nel Fascismo, ma potrebbero essere molte le tentazioni di edificare una democrazia molto diversa da quella che abbiamo conosciuto nel corso del secolo scorso: già, la cosiddetta Seconda Repubblica, in tempi di berlusconismo rampante, ha rappresentato un modello molto differente, di evidente e ridondante impronta leaderistica, rispetto a quello che ci hanno lasciato i nostri Padri, che hanno fatto la Resistenza e che diedero vita ai partiti antifascisti.
La storia non può non procedere, ma si sa bene che, per costruire il futuro, non si deve dimenticare il passato, né quello recente, né quello remoto, che abbiamo avuto modo di conoscere studiando dai libri e dalle fonti storiche, che ci sono pervenute.
Per questo motivo, tenere alta la sensibilità intorno ai temi della democrazia, sin dai banchi della scuola, è cosa opportuna, se non necessaria, visto che l’ignoranza è il miglior brodo di coltura per sentimenti ed atteggiamenti, che poi trovano sponda nel disagio economico e sociale dell’ultimo decennio, nel corso del quale, forse, si è distrutto molto più di quanto sia stato invero costruito.
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