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Rosario Pesce
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È evidente che il referendum odierno, in Lombardia e Veneto, sia espressione di una volontà, al momento, non possibile: la secessione delle regioni più forti dal resto del Paese.
Il secessionismo è una malattia vecchia della nostra Italia, che la Lega ha saputo cavalcare alla fine della Prima Repubblica per acquisire consenso e per delegittimare, ulteriormente, i partiti che erano caduti in disgrazia.
Dopo venti anni di indipendentismo leghista, ad opera di Bossi e di Maroni, oggi siamo in presenza di una forma, anche, più truce: l’indipendentismo alla Salvini, che mette insieme toni secessionistici con espressioni e concetti che sono, piuttosto, cari alla tradizione di estrema destra di molte regioni d’Europa.
Certo è che, oggi, molte migliaia di cittadini lombardi e veneti si esprimeranno per indicare il loro disagio rispetto all’attuale ordinamento istituzionale e, per quanto il referendum abbia solo valore consultivo, è ovvio che non si può non tenere conto di ciò che l’evento odierno significa.
Peraltro, i fatti della Catalogna dimostrano bene un dato molto importante: mentre esistono forze che tendono ad unire ed a mettere insieme uomini e risorse, contemporaneamente agiscono altre componenti nel senso opposto e queste sono favorite dalla misera condizione economica odierna, per fare facile proselitismo fra i ceti più deboli.
Inoltre, non si può dimenticare che gli echi secessionisti della Lega di Bossi furono quelli che indussero, nel 2001, la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha prodotto più danni che benefici, visto che, da quel momento in poi, è cresciuto notevolmente il contenzioso fra l’autorità centrale e quelle periferiche.
È, quindi, necessario che le forze politiche, ancora ragionevoli esistenti nel Paese, si fermino e meditino sulle cause del disagio che porterà, oggi, una parte di Italiani ad esprimersi contro l’unità, di fatto, della nazione e dello Stato.
Ancora, il clima di campagna elettorale non può che dare maggiore forza a chi, dell’appuntamento di oggi, cercherà di fare solo il momento iniziale del lunghissimo dibattito politico, che si snoderà per tutto l’autunno e l’inverno in vista delle elezioni della primavera del 2018.
Gli eredi di Giussano possono, finanche, essere determinati nel conseguire il loro risultato, ma senza alcun dubbio c’è un vulnus della politica, che deve essere sanato, prima che non solo la Lombardia ed il Veneto, ma anche le altre regioni del Paese non si atteggino alla maniera della Catalogna, pensando ad un futuro autonomista, che ne segnerebbe purtroppo la fine tragica.
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