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Rosario Pesce
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La politica, come l’intera società, va alla ricerca di un’identità culturale persa, forse in modo definitivo.
È ineluttabile che la conclusione del Secolo Breve, con la morte di moltissime delle ideologie dei secoli precedenti, ha determinato la fine di un orizzonte di senso, entro cui ciascuno cercava di dare una risposta ai propri quesiti esistenziali.
La fine del XX secolo e l’inizio di un nuovo millennio, nato all’insegna della conclusione di ogni possibile credo, hanno fatto sì che cessasse la condizione di incantesimo, in cui l’umanità provvidenzialmente è vissuta, e sorgesse uno status disincantato, per effetto del quale ciascuno di noi è una particella, separata dal contesto, che cerca di trovare il giusto epilogo alla propria ricerca di senso.
Se nel campo della morale questo dato è evidente, in quello della politica diviene tragicamente il segno di una patologia.
Bisogna candidarsi e darsi all’impegno pubblico per quale ragione?
Forse, per la difesa e tutela dell’interesse della collettività?
Ma, il “Noi” diviene sempre più desueto rispetto ad un “Io” ipertrofico e, sovente, espressione di un egoismo cieco e privo di prospettiva.
La medesima dimensione escatologica è sempre più avvertita come un mero limite, visto che il sentimento di religiosità e di spiritualità si confonde e si scioglie in forme ipocrite, a volte, di adesione ad un culto, a cui poi non fa seguito un mutamento radicale della prospettiva di vita.
Ed, allora, come alla fine del mondo classico, quando stavano per arrivare i Barbari, ciascuno si chiude e si rintana in una dimensione sofferta dell’Essere interiore, quasi a voler trovare lì il balsamo ai propri mali ed a quelli della società.
Finanche, il conflitto sociale, che pure potrebbe avere un senso in un contesto mondiale nel quale ci sono differenze sempre maggiori fra ricchi e poveri, non pare affascinare quei ceti deboli che dovrebbero e potrebbero trarre un beneficio reale dalla rivendicazione di diritti, che sono ormai derubricati allo standard di piaceri e privilegi.
Cosa fare?
Creare un nuovo Dio?
Costruire (o tentarlo di fare) nuove istituzioni pubbliche, che rechino il meglio dell’eredità passata?
Dare una svolta culturale al mondo odierno, ipotizzando un nuovo scenario in cui le contraddizioni possano essere meno stridenti di quelle attuali?
Certo è che, se l’Uomo non imprime una svolta al suo essere contingenza e storia, rischia per davvero di avviarsi ad un lungo Medioevo della coscienza e della società tutta.
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