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Rosario Pesce
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È evidente che, nel nostro Paese, i poteri non dialogano in modo proficuo fra loro.
Ultimo episodio, lo spiacevole atto politico, compiuto dal PD, che di fatto sfiducia il Governatore in carica della Banca d’Italia, Visco, nonostante questi sia stato, nei momenti della peggiore crisi finanziaria degli ultimi anni, un punto di riferimento essenziale per il Paese e l’unico, forse, autentico interlocutore dell’Unione Europea e della Banca Centrale.
Peraltro, è insolito che, alla vigilia delle elezioni, il partito di maggioranza relativa, che ha espresso i tre Presidenti del Consiglio lungo l’intero arco della legislatura, promuova una mozione parlamentare per mandare a casa uno dei migliori tecnici del Paese.
È ovvio che qualcosa non va.
È impensabile che la politica possa, in modo così esplicito, promuovere una sfiducia contro un uomo delle istituzioni, a dimostrazione di un conflitto sotterraneo, che in questi anni ha visto, su parti opposte, la Banca d’Italia e l’Esecutivo, almeno nella stagione del Dicastero Renzi ed in quella odierna di Gentiloni, che però ha preso le distanze dalla mozione presentata in Parlamento dal suo stesso partito.
Il potere politico – questo può succedere sia a livello locale, che nazionale – a volte tenta di esondare dai suoi corretti argini, dal momento che ritiene che l’investitura popolare gli dia la possibilità di fare il braccio di ferro con i tecnocrati e con il mondo delle professioni e delle istituzioni.
Evidentemente, una simile opinione non può che spingere la politica fuori dalla delega, che essa riceve dall’elettorato al momento del voto, visto che mai si devono configurare le condizioni di un conflitto fra i poteri rappresentativi e quelli tecnici.
Peraltro, quando la politica ha tentato di imporre la sua volontà sui poteri tecnici, ha ineluttabilmente perso, visto che lo Stato è una macchina così complessa, che l’unica forza del consenso non la può portare avanti, se ad essa non si affianca la prerogativa delle competenze e della tecnicalità.
Inoltre, in tale vicenda, sembra impropria la scelta di un potere politico che volge alla conclusione del suo mandato parlamentare e che, quindi, non è neanche pienamente legittimato a condurre una guerra contro i mulini a vento, quando tra i cittadini e la pubblica opinione del Paese potrebbero essere germogliati equilibri molto diversi da quelli del voto di cinque anni fa.
Ancora, non sfugge il fatto che il mandante di tale iniziativa sia venuto meno rispetto al compito che ha affidato ai parlamentari di turno: è anomalo che il Segretario Nazionale del PD faccia spallucce rispetto agli esiti di una vicenda conflittuale, di cui avrebbe dovuto assumere la responsabilità della conduzione esclusiva in prima persona.
Cosa accadrà, allora?
Visco sarà riconfermato alla guida dell’Istituto Bancario, mentre Renzi perderà le elezioni della prossima primavera?
È, questa, una possibile opzione, che dimostrerebbe quanto sciocco sia colui che intraprende battaglie, che sono perse già in partenza.
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